venerdì 12 settembre 2014

Valerio Incerto

Valerio Incerto è artista eclettico e sorprendente: video maker, compositore e  autore teatrale, porta nella poesia il suo modo particolarissimo di leggere la realtà, di interpretarla e fustigarla.

Nato a Castelvetrano (TP) nel  1972, ha frequentato nel 1994 corsi popolari di armonia al Conservatorio di Milano e corsi di animazione musicale al C.E.M.B. di Milano. Nel 1995 ha fondato il duo musicale Stowaway. Nel 1996 ha fatto parte della compagnia teatrale d'avanguardia Sisifo Seduto di Milano. Dal 2002 ha iniziato a comporre musica elettronica, mescolando elettrominimalismo e musica autogenerativa.

Dal 2007, in collaborazione con alcune associazioni culturali di Vigevano, si è dedicato al video-making auto prodotto, e ha inserito i suoi video nei più disparati eventi culturali, quali presentazioni di artisti, letture, introduzioni a rassegne cinematografiche, teatro-canzone ecc. Nel 2011 ha scritto e diretto il suo primo spettacolo teatrale "Quotidiano Incostante". Nel 2012 ha portato in scena il suo spettacolo "Lunarchia". Nel 2013 ha pubblicato per "Edizioni La Gru" una raccolta di monologhi e poesie aventi il medesimo titolo. Nello stesso anno ha scritto e diretto la sua ultima opera teatrale: "Sedara".

LUNARCHIA
Edizioni La Gru



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LUNARCHIA è un atto di ribellione, irridente, feroce, sorprendente. Un manifesto poetico che potrebbe essere di un’intera generazione che ha visto il suo mondo frantumarsi e non ha avuto il potere di porvi rimedio. Alla fine non le è restato che vagheggiare una terra più libera, "lunarchia", dove la giustizia è possibile, l’amore è possibile, la fragilità e la debolezza sono accettate. Questo punto di vista disomogeneo, rabbioso, sarcastico, rende ancor più pregevole questa raccolta, proprio perché scritta in un tempo in cui la follia globalizzata non ammetterebbe defezioni e opinioni discordanti.
Nella silloge di Valerio Incerto trovano una pregevole sintesi stilistica e tematica le esperienze teatrali, musicali e poetiche dell’autore. Le varie sezioni, In perfetto equilibrio, rifuggono da ogni lirismo di maniera, pur mantenendo forza visionaria e una perfetta scanzione ritmica e poetica. Esse, per il loro carattere surreale e iperbolico, l'ironia tagliente e raffinata, ricordano i monoghi teatrali di Giorgio Gaber e Sandro Luperini.
I controsensi, le idiosincrasie, le paranoie del mondo vengono mostrate nella loro feroce assurdità, fustigate con tagliente ironia, a volte con una sorta di rabbia tranquilla. I temi sono i più disparati: dall’attenzione parosissitica per la privacy:
“…E vi dirò anche l’elenco delle mie malattie, sia quelle genetiche, sia quelle trasmissibili. Ma sì! Basta, io me ne frego della privacy! No, non guardatemi così, non sono matto.” (da Codex),  
al dramma devastante  della mancanza di lavoro:
“…Quindi è bene che cominci a preoccuparmi di occupare la mia disoccupazione, impegnare meglio il mio tempo, acculturarmi e così sarò pronto per quando andrò in pensione … E poi bisogna stare molto attenti, riempire il tempo libero stanca come un lavoro e io non vorrei mica morire di troppo tempo libero!” (da Joule);
dalla febbre da ipermercato:
“Oggi avete fatto il vostro dovere, avete fatto il miglior acquisto possibile, una cosa che non utilizzerete mai, l’acquisto inutile: l’acquisto ideale per noi venditori, perché vi lascia insoddisfatti e vi spinge a comprare altro.” (da Schapa)
alla finta efficienza delle grandi strutture produttive:
“ La vostra efficienza mi fa schifo … Io sono di un’altra pasta, io sono un rallentatore del lavoro, un rallentatore della società industriale, …” ma “… all’interno della struttura il mio sabotaggio non fa né danno né bene. Forse la struttura è concepita per essere immutabile ed io sono solo come tutti gli altri,” 

Non manca neppure una certa componente autoironica, l’intelligenza di un dubbio lanciato come un sasso nel bel mezzo del suo scrivere:
“ Ormai poeta/ senti particolarmente/ le T, le S,/ le R e le Zeta, / forse perché in tanti / ti hanno insieme dato / dello stronzo ben aggettivato. (da “Le prime consonanti”)

Vito Giuliana nella sua prefazione osserva: “Valerio Incerto è un vagabondo anarchico e lunare, getta un fascio di luce su realtà nascoste o oscure…”. Di fatto il suo vagabondare, sia fisico che intellettuale è una sorta di viaggio nella storia e nei luoghi, fatto di ribellione e di denuncia che rende il poeta cittadino del mondo, non legato a nessuna bandiera e nessuna terra.
Dall’altra parte c’è la nostalgia della terra d’origine, l’amore per la Sicilia, l’eterno ritorno e l’eterna delusione. Ritorno impossibile, del resto, perché la Sicilia che il poeta vagheggia è antecedente al mito ellenico e ha radici antichissime e ormai perdute nell’antica isola nei sicani, il popolo autoctono poi sopraffatto da siculi e greci. Quello che affascina Incerto infatti non è la storia dei vincitori ma quella dei vinti:
io sto con Mokarta e con i Sicani / perché celebrare l’archeologia dei coloni?/ perché celebrare templi pagani dove venivano fatti sacrifici umani e sacrifici animali? / perché celebrare le case patrizie? / dovrei andare a Megara Hyblea nei pressi di Siracusa a ringraziare / il posto da dove provenivano i coloni o addirittura andare a Megara in Grecia? / io piuttosto mi avvicino ai Sicani, la popolazione nativa..” 
 
Nelle sue poesie è inutile cercare rassicurazioni, idee che si conformino al nostro sentire perché egli spiazza continuamente il lettore con la sua critica radicale. sorprendendolo e, a volte, infastidendolo, ma sempre all’interno di una coerenza logica e di una forza di verità.

Incerto è un uomo contro: contro il consumismo, la guerra, contro l’’Occidente e le sue colpe, contro i conformismi e falsi umanitarismi della domenica. Vuole la coerenza a tutto tondo e non trovandola dalla propria parte, la cerca nella storia dei vinti. Essere pacifista di maniera è facile, ma dire, come dice lui:
“Nel tramonto del mio delirio penso che/ tutte le torri andavano abbattute:/ la guerra è giusta solo quando muoiono tutti,/ quando non ci sono vincitori né vinti./ E dal calcolo della storia/ sogno di sedere finalmente sulle macerie dell’Europa / e dell’Occidente.” (da “La terza torre gemella”)
non è affatto scontato e di certo efficacemente provocatorio.
 

 

LUNARCHIA

 
Sono anarcoidi lunatici

ribelli mancati

cinici rompi-­taboo

cacciatori di risposte differenti

depressi altalenanti

eterni fanciulli

sono avidi di conoscenza

sono giocolieri del tempo

esibizionisti euforici

sono provocatori disinteressati

sono scorie accecanti

sono scopritori di musica

guerrieri dei valori

sono artigiani della notte

sono spiantati

insani poeti

disprezzatori del caso

sono ricercatori della purezza

affamati di luce

disubicati per vocazione

fuori da ogni generazione


sono i nuovi nativi

della terra di Lunarchia.


Otto voci salvate da questa dispersione,

otto personaggi baciati dal pulviscolo lunare.


 

BENTHOS, IL COLLEZIONISTA DI FARI

 
Fatevi amanti dei fari

fatevi amanti dei lupi

e fatevi amanti

di qualche strumento musicale

e abbiate l’orgoglio di pronunciare

con cadenza solenne

le parole della vostra vita,

queste parole:

rispettate il vostro tempo perso,

che sarà perso per gli altri

ma per voi è guadagnato

e non vivete con agende alla mano

e nonostante abbiate molte passioni

assumetevi finalmente l’ardire di dire

che non vi piace far niente;

ammettete la vostra povertà e con tranquillità rivelatela,

non abbiate nulla da perdere

e neanche la vostra dignità

che la dignità è solo una dipendenza

come un’altra,

rifuggite dalla coerenza

che la coerenza non è indice di serietà

rifuggite dalla dolcezza, quasi sempre nelle mani degli sbandati

e si capovolge con un colpo di vento

infine abbiate il coraggio di vivere soli

la libertà davvero esiste solo lì dentro

che è molto decente il vivere soli

nonostante tutti rifuggano questo principio

e allo stesso tempo tutti ci credano

e ancor più onorevole è da soli morire

piuttosto che accanto a qualcuno

di cui non saprai non solo se t’abbia mai amato

ma neanche se t’abbia appena percepito.
 


LA CINETICA DELL’AMORE

 
Tanto spingerci fuori da noi stessi,

tante parole poste l’una sull’altra

le migliori incastrate l’una dentro l’altra,

tanti momenti eccellenti,

 
tante energie,

tanti giorni radianti

la forza centrifuga, la forza centripeta

la cinetica dei sentimenti che va avanti
 

tanto costruire solo per mantenere

in piedi la costruzione

tanto sangue a mantenere viva la convinzione,

mentre ci si coltiva in segreto un equivoco
 

ed è qualcosa che nessuno aveva previsto

qualcosa di irrimediabile, di irreversibile

dovuto non a te e non a lei,

qualcosa che da ragione a te e dà ragione a lei,


qualcosa che non si può più spiegare

perché ormai i termini hanno tutti assunto

un significato diverso

da quello col quale erano nati.
 

Tuttavia ci si accompagna dal tramonto all’alba, sicuri,

con i soliti «Io ti capisco», «Anche io ti capisco»,

«Allora staremo insieme altri mille anni almeno,

non ti preoccupare, amore»
 

intanto la fibra dell’amore si tende

e si sfilaccia, l’equivoco cresce;

certo, si dice «Ti amo» ancora

ma con il giorno e le ore prende il senso di altre parole.
 

la storia finisce e il tempo ci dice che

ci si è incontrati nel momento sbagliato

per dei motivi giusti e ci si è lasciati nel momento giusto

per dei motivi sbagliati


e ci fa pensare che sia amore vero comunque,

e ci si convince ipocritamente

che tutto sia casuale.

verso altre storie uguali


che da lontano già gridano:

«Io non scelgo mai,

io sono il destino,

io sono la sensazione»


che accoglieremo piangendo

come una salvezza

e come fosse, questa volta,

l’ultima decisione.
 


ITINERARI PER PERDERSI


Ho viaggiato poco e male

spinto dalla convinzione che il viaggio

randagio venisse meglio sentito.


Chissà perché pensavo

che il dormire all'addiaccio dovesse scaturire

una rivoluzione in me stesso.
 

Ho viaggiato poco e male.
 

Ho viaggiato poco e male

ubriacandomi di paesi

nella breve durata del denaro contato
 

e volevo stupirmi esteticamente

ma a impressionarsi era la mia fotocamera

raschiata di gelo e di polvere.
 

Ho viaggiato poco e male.
 

Chissà perché cercavo

le mie radici nei luoghi di altri

ignorandone in me la minima traccia
 

quando invece già possedevo un idioma,

il mio clima e un paesaggio

che a chiunque bastava.


Forse perché volevo dell’altro

un breviario di vita

per le mie domande rabbiose


ma dallo spazio calpestato

non ebbi molto più che dai quartieri

da cui ero partito e tornato.
 

In verità una sola risposta l'ho avuta

dalle convivenze con quelli

che mi hanno ospitato ho capito
 

che mai saremmo stati uguali

mai verremmo trattati allo stesso modo

il forestiero non è gradito.


L'integrazione che abbiamo barattato

con un lavoro che lo stato concede

per garantire illusioni


è una finta uguaglianza

affinché il sistema di produzione

indisturbato continui.

 

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