Umberto Piersanti - L’isola tra le selve – Poesie scelte 1967/2024 - (Marcos
y Marcos 2025)
L'isola tra le selve - Umberto Piersanti - Libro - Marcos y Marcos - Le ali | IBS
Vi sono poeti che sembrano tali sin
dal loro apparire, per il solo aspetto esteriore, e Umberto Piersanti è uno di
questi. Se guardo la sua foto, vedo il sorriso mansueto, la nobile barba
bianca, la sciarpa colorata, il candido cappello a falde larghe e un guizzo
ironico nello sguardo che istintivamente mi fanno pensare che questo è un
poeta.
La conferma arriva poi dalla lettura di questa sua silloge, L’Isola tra le selve, che subito mi
coinvolge. Per prima cosa l'emozione. È così raro trovare la
semplicità di un’emozione nella gran parte delle poesie d’oggi; l'impegno
letterario si, la ricerca linguistica e lo studio pure, ma quasi mai il fremito
di una vera emozione. La sua invece è una poesia commovente poiché parla, con
veridicità e naturalezza, della vita di tutti i giorni, dei suoi fragili
sogni, e del tempo che passa sopra di loro e li sbiadisce. Ci
dice della giovinezza perduta, delle prime passioni, dell’amore per
la terra natia e per la gente che la abita, che è poi la terra delle
Cesane, che è anche la nostra terra, l’Itaca a cui vorremmo tornare:
“Itaca è là/ così vera/ e presente,
/fatta di terra/ e acque e foglie/ l’hai intravista/ e persa mille volte,/
un’isola nel mezzo/ di fitte selve,/ forse impossibili/ da solcare.” (pag. 227)
La prima poesia del libro è un frammento
lirico che potrebbe essere assunto come manifesto illustrativo dell’intera
raccolta, uno squarcio sintetico su quanto poi si leggerà:
“Ricordi la casa perduta tra i
greppi/ il sapore del fieno/ e l’immensa famiglia contadina? Il primo bacio
stupito al Cappuccini/ e Dio e la morte a sedici anni?”
Queste poesie, scritte nel corso di un
sessantennio, quasi un’intera vita, raccontano la storia dell’uomo, il suo
percorso poetico, disinteressato alle mode e alle vecchie avanguardie, ormai
esaurite, e alle nuove, che pure, in gran parte, si esauriranno presto, per ritrovare
la bellezza del verso classico, la limpidezza delle immagini, la
comprensibilità dei sentimenti.
In proposito, nella sua prefazione,
il filologo e critico letterario Massimo Raffaeli giustamente osserva che la
poesia di Umberto Piersanti è “segnata da una perfetta alterità
rispetto al decorso dei poeti della sua generazione formati nell’età di un
acceso sperimentalismo e, presto, colpiti dall’interdetto alla poesia dove si è
conclusa la parabola della neoavanguardia.”.
Egli si muove lungo una direttrice neo-classica che, come scrive il prefattore, va da Pascoli (l’amore per la famiglia) a Leopardi (l’apertura stupita e dolorosa all’universo), da Carducci (la purezza delle immagini) a Ungaretti (l’asciuttezza del verso) fino a Pavese (l’attaccamento alla propria terra) e Neruda (per la ricchezza sfarzosa delle metafore) nella quale, via via, questi influenzano a turno, o tutti insieme, la stesura dei versi.
Le liriche, raccolte in 11 capitoli,
scandiscono i tempi di un viaggio letterario che ripercorre in maniera
suggestiva e onirica i luoghi dell’infanzia, i ricordi legati alla guerra, alla
terra delle Cesane, all’amore per la natura e la famiglia, a partire dalla
madre, evocata con amore e nostalgia, come nella poesia “Solo un anno è
passato”:
…ci fu un tempo felice nella casa/
col padre e le sorelle, tu ci guidi, / ma la vita e la morte ci disperse/
rimanesti con me ad aspettarmi/ ti ringrazio madre per quei giorni. (pag.120),
e per il figlio Jacopo, sofferente di
una grave forma di autismo, verso il quale il poeta esprime un pudico ma
struggente dolore per la sua condizione straniante:
io e te forestieri/ in questa sala,/
e tu straniero/ anche dentro il mondo. (pag.155),
insieme allo spaesamento del cuore di fronte all’incerto
futuro:
…ma il cavaliere conosce/ la sua
meta? / sa dove conduce/ la bianca strada? la meta, quella/ neppure la
sospetto, / ma le colline si, / sono le mie… (pag.186)
In Umberto Piersanti il verso appare dunque melodico, narrativo, aderente alle vicende concrete, seppure traslate in un tempo mitico e sognante in cui ogni dettaglio si trasforma in emozione, diventando la porta attraverso la quale è possibile accedere a una diversa realtà, sospesa tra simbolismo e metafisica. La scansione ritmico-musicale e la sincerità dei versi li salvaguarda dal rischio di malinconie e rimpianti di maniera, diventando la porta attraverso cui è possibile accedere a una diversa realtà, sospesa tra simbolismo e metafisica. La sua poetica, infatti, pur legata alla terra e alle radici, non è mai localistica e chiusa in se stessa ma allude sempre ad altro e si fa strumento per orientarsi nel mondo e capirne le dinamiche esistenziali.
In conclusione, questa bella e ampia antologia, che raccoglie poesie provenienti da precedenti raccolte, aggiungendone altre, conferma in Piersanti un letterato necessario in tempi così cinici e feroci, ponendosi egli come mite ma solida barriera alla catastrofe spirituale, consentendo a noi di meglio affrontare i marosi e uscire confortati e arricchiti dalla sua lettura.
Renato Fiorito
Roma, 10 ottobre 2025
Poesie tratte da “L’isola tra le selve”
L’osteria del mare
in quale vicolo persa,
laggiù, sul mare?
Madre, giovane madre,
fu la nostra vacanza,
la sola forse,
allora non usava,
e quei fischioni rossi
con foglie verdi [1]
mai ne ho trovati altri
così perfetti
e l’azzurro d’intorno
ci cerchiava,
ci ubriacava di luce
sulla panca
sono sceso alla costa
l’ho cercata,
ma il tempo muta
e le strade e le case,
cambia perfino l’aria
era l’aria allora
così diversa
io la solcavo
stretto alla tua mano,
la tua veste leggera che risplende
contro l’Ardizio[2]
verde come il fosso
dove fatica la gente
del mio sangue
io quei giorni
me li porto dentro,
il cammino mi fanno
più leggero.
(Ottobre 1992)
Il bosco di castagni
lontano, il più lontano,
oltre ogni greppo
oltre ogni fosso
e valle,
sotto remoti monti.
E la stagione?
Il tempo?
no, non ricordo,
solo c’era l’asiatica
e non s’andava a scuola,
potevi camminare
il giorno intero.
E i compagni?
di loro più
non so il viso
e l’andatura,
uno era alto,
l’altro tozzo e forte
e giungemmo tardi alla radura
che tra i castagni splende
e li rischiara
s’aprivano i sentieri
tutt’attorno,
e se ne prendi uno
quello è la sorte
e accompagna i tuoi giorni
e le vicende,
solo era difficile
staccarsi,
avevamo fatto
tanta strada insieme,
nella radura poi
si stava bene,
l’erba soffice e alta
ti ci puoi sdraiare,
sui rami canta
il verdone e i fringuelli,
fino a un’ora tarda
restammo lì distesi
ma prima che fa buio
bisogna andare,
ognuno prende da solo
la sua strada.
(Febbraio 2020)
Il capriolo
s’è perso,
gemono rami e erbe
al suo gran pianto,
forse lo trova il lupo,
forse la madre.
[1]I fischioni sono
uccelli acquatici (anatre selvatiche), con il petto rossastro e le ali con
riflessi verdi. Il verso è dunque un lampo cromatico, un’immagine sensoriale e
pittorica, tipica di Piersanti:
[2] ’Ardizio
è un promontorio costiero che si trova sul litorale adriatico tra Pesaro e
Fano,
L’osteria
del mare
Quell’osteria,
madre,
in
quale vicolo persa,
laggiù,
sul mare?
Madre,
giovane madre,
fu
la nostra vacanza,
la
sola forse,
allora
non usava,
e
quei fischioni rossi
con
foglie verdi [1]
mai
ne ho trovati altri
così
perfetti
e
l’azzurro d’intorno
ci
cerchiava,
ci
ubriacava di luce
sulla
panca
sono
sceso alla costa
l’ho
cercata,
ma
il tempo muta
e le
strade e le case,
cambia
perfino l’aria
era
l’aria allora
così
diversa
io
la solcavo
stretto
alla tua mano,
la
tua veste leggera che risplende
contro
l’Ardizio[2]
verde
come il fosso
dove
fatica la gente
del
mio sangue
io
quei giorni
me
li porto dentro,
il
cammino mi fanno
più
leggero.
Ottobre 1992
Il
bosco di castagni
Il bosco di
castagni
lontano, il più lontano,
oltre ogni greppo
oltre ogni fosso
e valle,
sotto remoti monti.
E la stagione?
Il tempo?
no, non ricordo,
solo c’era l’asiatica
e non s’andava a scuola,
potevi camminare
il giorno intero.
E i compagni?
di loro più
non so il viso
e l’andatura,
uno era alto,
l’altro tozzo e forte
e giungemmo tardi alla radura
che tra i castagni splende
e li rischiara
s’aprivano i
sentieri
tutt’attorno,
e se ne prendi uno
quello è la sorte
e accompagna i tuoi giorni
e le vicende,
solo era difficile
staccarsi,
avevamo fatto
tanta strada insieme,
nella radura poi
si stava bene,
l’erba soffice e alta
ti ci puoi sdraiare,
sui rami canta
il verdone e i fringuelli,
fino a un’ora tarda
restammo lì distesi
ma prima che fa
buio
bisogna andare,
ognuno prende da solo
la sua strada.
Febbraio 2020
Il capriolo
Il
capriolo piccolo
s’è
perso,
gemono
rami e erbe
al
suo gran pianto,
forse
lo trova il lupo,
forse
la madre.
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