Nota di Renato Fiorito
Poesia sorprendente e briosa, questa di Simone Consorti, ricca di apparenti nonsense, che però un senso ce l’hanno, e di ossimori che conciliano opposti e aprono la strada a una realtà trasfigurata. Sin dal titolo il libro, “Voce del verbo mare”, è di quelli che non lasciano tranquilli, istillando incertezze sulla posizione da tenere, se cioè fermarsi all’apparente incongruenza del dettato o provare ad andare oltre per scoprirne il diverso significato, sfuggente e affascinante insieme. Ci si chiede insomma se si tratti solo di una divertente assonanza o se ci sia un’intenzione più profonda in cui vanno a confluire concetti passibili di nuovi sviluppi, l’intenzione cioè di mettere in correlazione aspetti concettuali e lessicali distinti, per destabilizzare certezze e fare emergere in filigrana gli intrecci di una vita più ricca e complessa.
Dice in proposito il poeta: “Dietro questa poesia ce n’è un’altra/ che tu non sei in grado di leggere/ e il cui significato non potresti reggere/ “ (pag 12)
Si sa infatti che “mare” non è un verbo; eppure se per licenza poetica lo diventasse, si potrebbe coniugarlo, unirlo a pronomi personali: io, tu, noi, loro, e goderne tutti insieme, facendolo divenire un elemento liquido di socialità e divertimento, luogo azzurro in cui pulire l’anima; allora il titolo, bello e intrigante, avrebbe già in sé ragioni sufficienti per intraprendere la lettura.
Del resto la silloge è ricca di rimandi di questo tipo, di sollecitazioni a cogliere il non detto, di giochi di parole e suoni. Il titolo del primo capitolo, ad esempio: “Ti ho dato appuntamento senza dirtelo”, è così atipico e stralunato che rimanda a pensieri segreti, tanto intimi e fragili da non potere essere agevolmente raccontati se non ricorrendo a contraddizioni tra detto e non detto, a ricordi diafani che lascino trasparire la luminosità di un tempo che non passa.
“Ti ho dato appuntamento
senza dirtelo/ e sono qui in anticipo da tanto/ perché so che non verrai/ ma
non so quando” (pag.21)
Darsi appuntamento senza dirselo è infatti come l'adolescenziale speranza che sia la realtà a piegarsi spontaneamente ai sogni, senza dover lottare per realizzarla, anche se è noto che l’attesa inerte difficilmente viene premiata:
“Ho cominciato
attendendoti nel giorno del nostro primo non appuntamento Da qualche parte si
deve iniziare a imbalsamare un amore” (pag.27)
Nella poetica di Consorti, quindi, almeno per quanto riguarda questo lavoro, ci si imbatte spesso in un tempo saltellante, incerto, che non risponde al tempo lineare della narrazione canonica, ma piuttosto all'anarchia degli impulsi del cuore in cui tutto sembra concluso e tutto, invece, come in Parmenide, sempre ritorna, una specie di calembour che non è gioco ma riflessione sulla vita, così come si consuma nel caos dei sentimenti:
“La tragedia dell’autunno
è nell’attesa/ in quelle foglie precarie/ dall’aria sospesa/ Conosco un poeta
che aspetta/ da trent’anni in qua/ il suo grande amore scomparso/ un’ora fa” (pag
32)
O anche:
“Qualcosa è Paradiso/ se
puoi dargli appuntamento tra cent’anni/ senza sentirti già in ritardo” (pag.87)
Così, con la stessa
apparente leggerezza, nel racconto della vita, entra a pieno titolo anche la morte che, anzi, va ad occuparvi un posto centrale:
“Anche quest’anno/ ho
passato la mia data di morte/ senza riconoscerla/ Un giorno come un altro mi è
sembrato/ e non l’ho festeggiato né scansato/ cercandomi un riparo/ Niente
candeline/ né di compleanno né votive/ Anche quest’anno/ nel giorno della mia
morte/ sono morto un miliardo di volte (pag.18)
Oppure
In ogni bara lasciateci
un buco/ per farci entrare il mondo/ oppure un bruco// In ogni bara lasciateci
un buco/ per fare uscire almeno un po’ di buio// C’è tutto ciò che han veduto/
negli occhi di ognuno/ quando si chiudono// In ogni bara lasciateci un buco a
forma di nuvola (pag19)
Il secondo capitolo della
raccolta, che si intitola: “Mentre Dio faceva il suo dovere”, sembra lasciare il periodo in sospeso: mentre Dio faceva il suo dovere… cosa accadeva in realtà? L’uomo
realizzava le sue atrocità oppure assecondava l’armonia del creato? Distruggeva
se stesso o operava per il bene? Consorti non lo dice ma lancia un amo letterario che aggancia la curiosità del lettore. Del resto è così che deve fare un buon libro,
sollecitare curiosità, trattenere il lettore con un filo invisibile che lo porti fuori dal labirinto. Una delle risposte possibili che il poeta dà (quella che forse mi piace di più) è che mentre l’uomo cerca di curare i
suoi mali il dovere di Dio è restare nascosto.
“…Trovava il suo sollievo
torturandosi/ sempre allo stesso modo/ sempre allo stesso ritmo/ sempre allo
stesso posto/ mentre Dio faceva il suo dovere/ restare nascosto” (pag.53)
Un’altra possibile risposta è che l'umanità va avanti comunque. perpetuando guerre, morte e dolore, indipendentemente da ciò che fa Dio.
(Tre guerre fa/ i morti
che sto calpestando/ in questo cimitero di guerra/ calpestavano altri morti/
che avevano calpestato altri morti/ che si erano cibati della stessa terra)
pag.82
“…Milioni di altri uomini/
sono morti e si sono riprodotti/ perché potessi scrivere i miei versi/ le mie
bestemmie e i miei motti/ Milioni/ affinché potessi amare/ una ragazza ancora
più impalpabile/ di tutti i vetri e le pagine” pag. 62
Infine è da osservare che Simone Consorti, essendo uomo di teatro, conserva nella scrittura il gusto scenico della sorpresa, la prosa spumeggiante e ironica, mai bolsa e scontata, che non ammette noia né distrazione. Perfino nella nota autobiografica finale, intitolata "C'era una volta Simone Consorti", il poeta parla di sé in maniera estremamente godibile e originale, cosa non usuale nelle autobiografie, esprimendo al meglio una personalità istrionica dal gusto tagliente e raffinato. In essa addirittura sconsiglia di qualificare il suo libro come bello, importante e di valore, poiché a suo dire, esso sarebbe la risultante di pagine che non ha buttato via. Io però vorrei disattendere la sua raccomandazione e dire che "Voce del verbo mare" mi è sembrata una raccolta poetica ricca di creatività e di vita, e che mostra la piena padronanza della tecnica poetica da parte dell'autore. Perciò, sfidando la sua ironia, dico in coscienza che il libro che ho appena letto l'ho trovato bello e di valore.
Voce del verbo mare
“Il vero infinito è il passato remoto
perché per l’eternità
nessuno potrà toglierci
ciò che è terminato già”
disse lui con un tono un po’ rude
“Semmai il passato prossimo
perché è iniziato ma non si conclude”
Poi riuscirono a litigare
perfino su come coniugare
l’infinito del verbo mare
Siamo a questo punto dell’autunno
Siamo a questo punto dell’autunno
in cui le foglie le guardiamo ormai da dentro
confuse col nostro riflesso
di qua dal vetro
come se vivere fosse
guardarsi indietro
Domani
toccherà ad altri
riattaccarle ai rami
Pioveva
il giorno del tuo matrimonio
Pioveva il giorno del tuo matrimonio
piove in questo del tuo funerale
ma oggi le gocce si confondono
e fanno più male
In questi vent’anni abbondanti
sei riuscita a farci entrare un’adozione
un divorzio
e una litigata talmente grande
che tuo figlio adottivo
dopo ti ha messa in disparte
Sapendo anche il resto
e come ti si è portata via
quella malattia che fa rima con amore
oggi nessuno lo dice
“Morta bagnata morta fortunata”
e io neanche dico niente
Guardo in basso scansando lo sguardo
dei miei genitori e dei tuoi
evitando tutto quel che non sia io
Io che devo mandare le bozze all’editore
io che devo mendicare una recensione
io che dovrei preparare una lezione
io che voglio uscire intero da questa chiesa
che oggi ha
fatto il pienone
A ripensarci pioveva
anche il giorno della tua prima comunione
18/11/1978
Quando ordinerai il suicidio di massa
sarò accanto a te
annuendo a testa bassa
guardando la terra dove finiremo
e non il cielo
E mi dispiacerà soltanto
per chi ci credeva davvero
Ha un sapore strano
il preparato
Sa di fieno e di futuro
appena falciato
Va giù in un sorso
e prima di farlo
ha già fatto il suo corso
In tasca non ho frasi d’addio
In testa in cuore
non ho più niente di mio
solo una manciata di istruzioni
che eseguirò come il primo dei tuoi uomini
e l’ultimo degli automi pag 69
Questa poesia deve essere bella (pag.97)
Questa poesia deve essere bella
perché domani all’alba gliela voglio dare
prima ancora che si alzi l’abito
e si mostri nuda al mare
Prima che faccia quel che ha fatto oggi
Non le dirò il mio nuovo nome
né ripeterò la stessa
vecchia presentazione
Solo le darò questo foglietto
sperando che lo legga
come si tira su l’abito
senza fretta
prima di donarlo al mare
in forma di barchetta