Valeria
Borsa è nata a Voghera nel 1975.
Conseguita la maturità classica, si è laureata con lode in Lettere antiche
all’Università di Pavia con una tesi sperimentale sui problemi
della traduzione e della didattica delle lingue classiche. È docente di Lettere
presso l’Istituto Comprensivo di Tortona e autrice delle raccolte: “Canti dell’Altrove
(Novi L., 2009); Kalendae (puntoacapo, 2011); Il giorno prima che inizi la pioggia (puntoacapo
2015) - 3° classificata al Premio “Città di
Recco 2016”. Infine con il libro Lungo l’argine aperto, qui recensito, nel 2017 si è classificata terza al Premio Letterario
Castel Govone-Città di Finale Ligure.
Lungo l'argine aperto
Nota critica di Renato Fiorito
In un mondo gridato, Valeria Borsa nella silloge “Lungo l’argine aperto” sussurra versi di
suadente armonia dal ritmo leggero e toccante. Il senso della raccolta è enunciato
in estrema e efficace sintesi nel verso che l’autrice stessa pone in esergo
al libro: “A mani aperte s’abbandona/ la vita all’accadere sperato”.
Abbandonarsi alla vita, dunque, e lasciare che il destino compia il suo percorso. Come
le foglie degli alberi che rinverdiscono e poi in autunno muoiono Valeria, con mani e
mente aperte, asseconda il ciclo delle stagioni, lasciandosi trasportare dalla
forza delle sue speranze.
Il mondo tratteggiato nei versi è
quello che le gira intorno: gli alberi, il gelo, le spine, i boccioli di rosa e
la indicibile bellezza della vita. Ma Valeria non si limita a descrivere la natura, come
mille altri poeti farebbero, ma porta avanti una ricerca espressiva, tesa a
reificare il suo stupore e farlo diventare sentimento del tempo: “ci
accarezza il tempo e declina/ come il mare schiumando/ alla riva (pag.
24).
La poetessa colma perciò le sue emozioni di significati metaforici, nel riuscito tentativo di riportare alla luce le radici profonde del suo essere e abbattere l'argine che separa sempre la vita reale dalla composizione letteraria, rimestando la terra del suo giardino segreto e portando sconvolgimenti e verità sconosciute all'anima recalcitrante “E la mia anima scalza/ stride,/si piega,/ diniega. (pag.17)
Dunque il giardino: quello di casa: “La rosa
che stasera/ bagna rugiade d’acqua/ si piega,/ spera e si piega. (pag.22),
e quello intimo che dà significato all’esperienza del tempo: “trovo
soltanto gli avanzi del tempo/ che si è spento e le ore/ si accartocciano
dentro, (pag. 21). Suggestioni che si esplicitano in perfetta
sintesi compositiva con versi che sono contemporaneamente fuori e dentro il tempo, in un giardino che diventa metafora di vita, dolcezza di “…eriche/ e muschi nella
brughiera (pag.25)
Ma è nella seconda parte della raccolta
che l’acqua, protagonista della narrazione, rompe gli argini, sfuggente e rumorosa invade le campagne e le lunghe risaie bianche, mentre la natura circonda il lettore col suo trionfo
colorato, le nuvole violacee, l’aria tremula di mare, i rettangoli assolati. Al
centro di questa esplosione cromatica c'è l’inarrestabile, struggente scorrere
della vita. L’argine abbattuto non è qui portatore di catastrofi ma occasione
di scoperta e rinnovamento, trasformazione della realtà e di noi stessi, porta aperta sul nuovo ad annunciare la primavera: “Qui/ l’inverno ormai è
lieve/ di sole aranciato all’imbrunire/ (pag.45) e “onda
dopo onda inesorabile/ il tempo della meridiana ride” (pag.46)
Dunque una poesia ricca, sorprendente,
metaforica, che avviluppa, carezza, corrode, con un dolore dissimulato e sommesso,
simile a quello de “l’agave spinosa piegata/ nell’orgoglio dell’ultimo/ suo
unico fiore.” (Pag.41), e una poetessa discreta, amichevole, di una umiltà
fraterna e splendente che infine commuove, come la viola selvatica che lei cita
in una delle poesie finali, quasi a volersi congedare con un sorriso: “Sai?
Mi riconosco/ viola fuori stagione/ lungo i fossati intrisi di novembre. (pag.
49)
Avrete a questo punto certamente capito che la poesia di Valeria Borsa mi piace poiché ha il merito non irrilevante di non seguire le mode artefatte, l’esibizione di un linguaggio iniziatico di incerto contenuto. Al contrario, la sua poetica è sincera, spontanea, efficace, densa di riferimenti, allusioni, valori. Si legge con un piacere quasi voluttuoso, a dimostrazione del fatto che si può essere chiari senza essere banali, carezzare senza dovere sempre graffiare, e, perché no, anche consolare, facendosi balsamo per le ferite che questo tempo infelice e distorto da ultimo ci infligge.
Amo
l’incerto stare
di febbraio
la tenace
delicatezza del croco
la carezza di brine e spine
morte al gelo
e i boccioli delle rose
che ho seccato
che invece stanno lì
impertinenti
polverose sirene
di ciò che poteva
e non è stato.
Ora
Ora che i giorni sono giorni
soltanto, senza attese
e gli azzurri spade
sui ricordi di cielo
non c’è più velo tra il presente
e il niente
il mai più
per sempre...
Ora che sulle strade vado
cercando in altri specchi
trovo soltanto gli avanzi del tempo
che si è spento e le ore
s’accartocciano dentro,
raggrinzite speranze d’inseguire
lo scatto di cerbiatto tra i rami
e le nostre avide
centellinate parole
che pure
avevano forma d’amore.
Urbana
Raccontare l’odorosa lentezza
delle strade
nella sera
serpeggiare stanco di luci
accogliente di case,
come pronte sempre al Natale.
Caldo di baci schioccante alle file
di carrelli sonnambuli
nell’artificio commerciale
baloccante tutto di neve: ma qui?
Qui
l’inverno ormai è lieve
di sole aranciato all’imbrunire,
avvolto in sciarpe pensierose
di remote parole luminose
dietro all’ombra veloce
che ci accompagna sola,
sopravvivendo al morire.
Sai? Mi riconosco
viola fuori stagione
lungo i fossati intrisi di novembre,
al bianco tepore
della bruma che oscura
i contorni dei giorni a venire
e riflette fantasmi opachi, echi
di quel che è andato e pur resta:
nelle cose,
nelle pieghe consunte di un cuore
avvinto in inestricabili spire.
In questo perdersi fioco
non chiedermi
un mondo nuovo per noi:
solo l’alba vorrei sentire
del dormirti accanto.
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