Luca Benassi è nato a Roma nel 1976 dove vive e lavora. Ha pubblicato le raccolte poetiche Nei Margini della Storia, (2000), I Fasti del Grigio (2005), L’onore della polvere (2009), le plaquette Di me diranno (2011) e Il guado della neve (2012) e, da ultimo, "Istruzioni per la luce" – Passigli 2021 - che qui segnaliamo.
Ha pubblicato inoltre antologie poetiche in giapponese (insieme alla poetessa Maki Strfield, edizione e-book 2016), spagnolo (2018), macedone (edizione bilingue -2019) e serbo (2019).
Ha tradotto De Weg del poeta fiammingo Germain Droogenbroodt (Il Cammino, 2002). Ha pubblicato la raccolta di saggi critici Rivi strozzati poeti italiani negli anni duemila (2010) e curato le opere antologiche complessive di Cristina Annino (Magnificat. Poesia 1969 – 2009, 2009), Achille Serrao (Percorsi nella poesia di Achille Serrao, 2013) e Dante Maffìa (La casa dei Falconi, poesia 1974-2014, 2014).
“Istruzioni per la luce”
di Luca Benassi - Passigli editore – 2021 - inizia dagli ultimi, dalle esistenze
più povere, deprivate di valore nella considerazione corrente e, tuttavia, cariche di umanità e di dolore, un piccolo campionario di vite senza identità,
dissipate ai bordi delle strade nella disperazione e nel silenzio.
Infatti è proprio il
silenzio, insieme alla luce, il tema centrale di questa raccolta; se ne avverte
il carattere quasi religioso, il modo sommesso in cui avvolge la narrazione.
Il poeta si pone al centro di questa esperienza emotiva, trovando ragioni di resistenza nelle radici della vita, nel ritmo stesso del respiro, : “Non avere paura,/ abbi certezze, invece/ nell’azzurro, nel sogno,/ nel battere e levare/ che ci solleva il petto” - pag25, - nella richiesta di un "... mio angolo di paradiso/ il mio acconto di luce" pag.26 -, nell'amore che vince le distanze "Per ogni mia partenza c'è un ritorno/un luogo privato tra le banchine/dove il tuo abbraccio è un bruciare di rosso/ -pag34 - .
Luca Benassi inizia così a tessere il suo rapporto con l’universo, avendo lo sguardo rivolto “…alla purezza sgranata nella preghiera del mattino, alla pietra aperta, alla ferita guarita”-pag.31 -, evocando un universo di luce che si diffonde sull’intera raccolta, nella pandeistica fiducia che le cose nascondano significati che trascendono le cose stesse e che la parola può rivelare, una “parola che brucia in petto/ come un perdono/ incendiato di paura”, pag. 36 Per questo il verso si arricchisce di echi, metafore, suggestioni, e va alla ricerca una perfezione lessicale che è estetica e etica insieme, una ricerca di Dio che appare e si nasconde, delude e esalta.
Un
sentimento naturale di gioia introietta ogni tassello del mondo, lo assapora e
se ne lascia penetrare, identificandolo con l'amore, il sogno, la bellezza, che è insieme sostanza del mondo e corpo di donna e che informa di sé tutta l'opera.
Così si legge di partenze e viaggi, di treni che sgranano stazioni semideserte e portano con loro un sentimento di armonia con il vento, la sabbia, il paesaggio, e la promessa di occhi che presto appariranno all’altro capo della linea a dare senso e valore al viaggio; e poi strade che sembrano quinte di teatro, che raccolgono vento e amore, incontri e temporali, e portano a una casa che accoglie e custodisce la favola eterna della vita: “Tu sei in quest’acqua che scroscia/ rumorosa dalle gronde, /penetra la terra come un dovere/ e scorre come un bacio di latte/sulla pelle rossa delle tegole/ di questo petto che si fa casa” - pag. 58
Se la prima parte del libro è pervasa da questa magnifica luce, la seconda, per una sorta di contrappasso, si addentra junghianamente nelle ombre del male, nei ricordi rifiutati e rimossi
delle tragedie causate dalla umana follia. Si ripercorre così il
delirio assassino delle Fosse Ardeatine, la bomba di Hiroscima, la tragedia dei
minatori di Marcinelle, lo scoppio della centrale nucleare di Chernobyl. Qui il
poeta si fa uno e molteplice, narratore in prima persona della tragedia immane che in lui rivive. Egli diventa vittima tra le vittime, ne raccoglie pietoso gli
ultimi pensieri, il respiro e la paura, in una partecipazione simbiotica e
solidale che dice che nessun grande dolore riguarda solo una persona ma chiama in causa la dignità del genere umano, la perdita di luce e di bellezza, l’innocenza di ognuno davanti a Dio.
Un
bel libro, dunque, questo di Luca Benassi, profondo, maturo, intenso che ancora una volta fa giustizia dei tanti che, senza sottoporsi alla fatica della ricerca, sentenziano che la poesia è morta. “Opera
compatta”, osserva giustamente Elio Pecora nella sua bella prefazione, “nel
segno alto e aperto della compassione”, intesa come un “patire insieme”, portarsi
dall’altra parte… travalicando l’umano… per farsi anima del mondo, grumo
nell’essenza.
Acquistabile on line ai seguenti link:
https://www.mondadoristore.it/Istruzioni-per-la-luce-Luca-Benassi/eai978883681874/
https://www.ibs.it/istruzioni-per-luce-libro-luca-benassi/e/9788836818747
(amare, uscendo dall’osteria)
E poi ci sono i tavoli di osteria, i bicchieri
che rimandano
scaglie di purezza
nel tintinnare
tagliente dei coltelli,
la bottiglia
d’acqua fuori frigo,
i tovaglioli
gialli, la linea curva della fronte
che si frange
sulla punta
che divide i tuoi
capelli.
Già la strada
sembra un grido di vento
un azzurro
ingolfato fra le chiese
a levigarti il
sorriso sopra il volto
che risplende
nella piena del sole
che ci invade.
(cercando Dio)
Mi chiedo dov’eri all’alba più vera,
quando i sogni si
fanno latte
e le parole
entrano nelle palpebre
come aghi nella
luce.
Mi chiedo cosa
potevi dire
quando mi
contavano il sangue
nel reticolo
azzurro delle vene
e il corpo si
faceva molle e dolce
come una carta
stellata, piena di numeri.
Al dunque non
c’eri, eri assente,
nel bianco dei
confetti, nelle veglie,
nella carne
tagliata dai referti,
nella gioia dei
vagiti, nella corrosione
dei rimorsi.
Ora quasi dai
fastidio
come una luce
accesa all’improvviso
sugli occhi
schiacciati
contro il buio.
(aspettando un treno)
I binari tracciano linee per gli occhi
posati
all’incrocio dei marciapiedi
e sembrano quasi
chiedere perdono
all’innocenza dei
bambini
sulle panchine fra
i baci
rubati alla
certezza del tempo
che buca il futuro
e lo ridona intatto.
Io sono qui, a
metà strada da tutto,
nel gioco felice
dei partenti
nel dolore degli
addii
a chiedere il mio
angolo di paradiso,
il mio acconto di
luce
con gli occhi
lasciati sull’asfalto
e un cuore blu,
pieno di tumulto.
(nome)
Forse darò un nome a questa terra
che separa il
binario tre dal mare
e inciderò i segni
e i colori
sul selciato della
pensilina
nel taglio degli
occhi che mi attende
all’altro capo
della linea.
Darò un nome a
questa attesa
agli annunci, alla
fila delle stazioni
che scorre rossa
sul monitor
mentre arriva il
mio convoglio.
Si parte così,
ascoltando il vento
che porta il suono
della sabbia
scolpita dai passi
di questa ostinazione
del ritornare
all’orizzonte dei nostri volti.
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