Valerio Incerto è artista eclettico e sorprendente: video maker, compositore
e autore teatrale, porta nella poesia il
suo modo particolarissimo di leggere la realtà, di interpretarla e fustigarla.
Nato a Castelvetrano (TP) nel 1972, ha frequentato nel 1994 corsi popolari
di armonia al Conservatorio di Milano e corsi di animazione musicale al
C.E.M.B. di Milano. Nel 1995 ha fondato il duo musicale Stowaway. Nel 1996 ha
fatto parte della compagnia teatrale d'avanguardia Sisifo Seduto di Milano. Dal
2002 ha iniziato a comporre musica elettronica, mescolando elettrominimalismo e
musica autogenerativa.
Dal 2007, in collaborazione con alcune
associazioni culturali di Vigevano, si è dedicato al video-making auto prodotto,
e ha inserito i suoi video nei più disparati eventi culturali, quali presentazioni di
artisti, letture, introduzioni a rassegne cinematografiche, teatro-canzone ecc.
Nel 2011 ha scritto e diretto il suo primo spettacolo teatrale "Quotidiano
Incostante". Nel 2012 ha portato in scena il suo spettacolo "Lunarchia". Nel 2013
ha pubblicato per "Edizioni La Gru" una raccolta di monologhi e poesie aventi il medesimo titolo. Nello stesso anno ha scritto e diretto la sua ultima opera teatrale: "Sedara".
LUNARCHIA
Edizioni La Gru
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LUNARCHIA è
un atto di ribellione, irridente, feroce, sorprendente. Un manifesto poetico che
potrebbe essere di un’intera generazione che ha visto il suo mondo
frantumarsi e non ha avuto il potere di porvi rimedio. Alla fine non le
è restato che vagheggiare una terra più libera, "lunarchia", dove la giustizia è possibile, l’amore è
possibile, la fragilità e la debolezza sono accettate. Questo punto di vista disomogeneo, rabbioso, sarcastico, rende ancor più pregevole questa raccolta, proprio perché scritta in un tempo in cui la follia globalizzata non ammetterebbe defezioni e opinioni discordanti.
Nella silloge di Valerio Incerto trovano una pregevole sintesi stilistica e tematica le esperienze teatrali, musicali e poetiche dell’autore. Le varie sezioni, In perfetto equilibrio, rifuggono da ogni lirismo di maniera, pur mantenendo forza visionaria e una perfetta scanzione ritmica e poetica. Esse, per il loro carattere surreale e iperbolico, l'ironia tagliente e raffinata, ricordano i monoghi teatrali di Giorgio Gaber e Sandro Luperini.
I
controsensi, le idiosincrasie, le paranoie del mondo vengono mostrate nella loro feroce
assurdità, fustigate con tagliente ironia, a volte con una sorta di rabbia
tranquilla. I temi sono i più disparati: dall’attenzione parosissitica per la
privacy:
“…E vi dirò anche l’elenco delle mie malattie, sia quelle genetiche, sia quelle trasmissibili. Ma sì! Basta, io me ne frego della privacy! No, non guardatemi così, non sono matto.” (da Codex),
al dramma devastante della mancanza di lavoro:
“…Quindi è bene che cominci a preoccuparmi di occupare la mia disoccupazione, impegnare meglio il mio tempo, acculturarmi e così sarò pronto per quando andrò in pensione … E poi bisogna stare molto attenti, riempire il tempo libero stanca come un lavoro e io non vorrei mica morire di troppo tempo libero!” (da Joule);
dalla febbre da ipermercato:
“Oggi avete fatto il vostro dovere, avete fatto il miglior acquisto possibile, una cosa che non utilizzerete mai, l’acquisto inutile: l’acquisto ideale per noi venditori, perché vi lascia insoddisfatti e vi spinge a comprare altro.” (da Schapa)
alla finta efficienza delle grandi strutture produttive:
“ La vostra efficienza mi fa schifo … Io sono di un’altra pasta, io sono un rallentatore del lavoro, un rallentatore della società industriale, …” ma “… all’interno della struttura il mio sabotaggio non fa né danno né bene. Forse la struttura è concepita per essere immutabile ed io sono solo come tutti gli altri,”
“…E vi dirò anche l’elenco delle mie malattie, sia quelle genetiche, sia quelle trasmissibili. Ma sì! Basta, io me ne frego della privacy! No, non guardatemi così, non sono matto.” (da Codex),
al dramma devastante della mancanza di lavoro:
“…Quindi è bene che cominci a preoccuparmi di occupare la mia disoccupazione, impegnare meglio il mio tempo, acculturarmi e così sarò pronto per quando andrò in pensione … E poi bisogna stare molto attenti, riempire il tempo libero stanca come un lavoro e io non vorrei mica morire di troppo tempo libero!” (da Joule);
dalla febbre da ipermercato:
“Oggi avete fatto il vostro dovere, avete fatto il miglior acquisto possibile, una cosa che non utilizzerete mai, l’acquisto inutile: l’acquisto ideale per noi venditori, perché vi lascia insoddisfatti e vi spinge a comprare altro.” (da Schapa)
alla finta efficienza delle grandi strutture produttive:
“ La vostra efficienza mi fa schifo … Io sono di un’altra pasta, io sono un rallentatore del lavoro, un rallentatore della società industriale, …” ma “… all’interno della struttura il mio sabotaggio non fa né danno né bene. Forse la struttura è concepita per essere immutabile ed io sono solo come tutti gli altri,”
Non manca neppure una
certa componente autoironica, l’intelligenza di un dubbio lanciato come un
sasso nel bel mezzo del suo scrivere:
“ Ormai poeta/ senti particolarmente/ le T, le S,/ le R e le Zeta, / forse perché in tanti / ti hanno insieme dato / dello stronzo ben aggettivato. (da “Le prime consonanti”)
“ Ormai poeta/ senti particolarmente/ le T, le S,/ le R e le Zeta, / forse perché in tanti / ti hanno insieme dato / dello stronzo ben aggettivato. (da “Le prime consonanti”)
Vito Giuliana nella sua prefazione
osserva: “Valerio Incerto è un vagabondo anarchico e lunare, getta un fascio di
luce su realtà nascoste o oscure…”. Di fatto il suo vagabondare, sia fisico che
intellettuale è una sorta di viaggio nella storia e nei luoghi, fatto di
ribellione e di denuncia che rende il poeta cittadino del mondo, non legato a nessuna
bandiera e nessuna terra.
Dall’altra
parte c’è la nostalgia della terra d’origine, l’amore per la Sicilia, l’eterno
ritorno e l’eterna delusione. Ritorno impossibile, del resto, perché la Sicilia che il poeta vagheggia è antecedente al mito ellenico e ha radici antichissime e ormai
perdute nell’antica isola nei sicani, il popolo autoctono poi sopraffatto da
siculi e greci. Quello che affascina Incerto infatti non è la storia dei
vincitori ma quella dei vinti:
“io sto con Mokarta e con i Sicani / perché celebrare l’archeologia dei coloni?/ perché celebrare templi pagani dove venivano fatti sacrifici umani e sacrifici animali? / perché celebrare le case patrizie? / dovrei andare a Megara Hyblea nei pressi di Siracusa a ringraziare / il posto da dove provenivano i coloni o addirittura andare a Megara in Grecia? / io piuttosto mi avvicino ai Sicani, la popolazione nativa..”
“io sto con Mokarta e con i Sicani / perché celebrare l’archeologia dei coloni?/ perché celebrare templi pagani dove venivano fatti sacrifici umani e sacrifici animali? / perché celebrare le case patrizie? / dovrei andare a Megara Hyblea nei pressi di Siracusa a ringraziare / il posto da dove provenivano i coloni o addirittura andare a Megara in Grecia? / io piuttosto mi avvicino ai Sicani, la popolazione nativa..”
Nelle sue poesie è
inutile cercare rassicurazioni, idee che si conformino al nostro
sentire perché egli spiazza continuamente il lettore con la sua critica radicale. sorprendendolo
e, a volte, infastidendolo, ma sempre all’interno di una coerenza logica e di
una forza di verità.
Incerto è un uomo
contro: contro il consumismo, la guerra, contro l’’Occidente e le sue colpe,
contro i conformismi e falsi umanitarismi della domenica. Vuole la coerenza a
tutto tondo e non trovandola dalla propria parte, la cerca nella storia dei
vinti. Essere pacifista di maniera è facile, ma dire, come dice lui:
“Nel tramonto del mio delirio penso che/ tutte le torri andavano abbattute:/ la guerra è giusta solo quando muoiono tutti,/ quando non ci sono vincitori né vinti./ E dal calcolo della storia/ sogno di sedere finalmente sulle macerie dell’Europa / e dell’Occidente.” (da “La terza torre gemella”)
non è affatto scontato e di certo efficacemente provocatorio.
“Nel tramonto del mio delirio penso che/ tutte le torri andavano abbattute:/ la guerra è giusta solo quando muoiono tutti,/ quando non ci sono vincitori né vinti./ E dal calcolo della storia/ sogno di sedere finalmente sulle macerie dell’Europa / e dell’Occidente.” (da “La terza torre gemella”)
non è affatto scontato e di certo efficacemente provocatorio.
LUNARCHIA
ribelli mancati
cinici rompi-taboo
cacciatori di risposte differenti
depressi altalenanti
eterni fanciulli
sono avidi di conoscenza
sono giocolieri del tempo
esibizionisti euforici
sono provocatori disinteressati
sono scorie accecanti
sono scopritori di musica
guerrieri dei valori
sono artigiani della notte
sono spiantati
insani poeti
disprezzatori del caso
sono ricercatori della purezza
affamati di luce
disubicati per vocazione
fuori da ogni generazione
sono i nuovi nativi
della terra di Lunarchia.
Otto voci salvate da questa dispersione,
otto personaggi baciati dal pulviscolo lunare.
BENTHOS,
IL COLLEZIONISTA DI FARI
fatevi
amanti dei lupi
e
fatevi amanti
di
qualche strumento musicale
e
abbiate l’orgoglio di pronunciare
con
cadenza solenne
le
parole della vostra vita,
queste
parole:
rispettate
il vostro tempo perso,
che
sarà perso per gli altri
ma
per voi è guadagnato
e
non vivete con agende alla mano
e
nonostante abbiate molte passioni
assumetevi
finalmente l’ardire di dire
che
non vi piace far niente;
ammettete
la vostra povertà e con tranquillità rivelatela,
non
abbiate nulla da perdere
e
neanche la vostra dignità
che
la dignità è solo una dipendenza
come
un’altra,
rifuggite
dalla coerenza
che
la coerenza non è indice di serietà
rifuggite
dalla dolcezza, quasi sempre nelle mani degli sbandati
e
si capovolge con un colpo di vento
infine
abbiate il coraggio di vivere soli
la
libertà davvero esiste solo lì dentro
che
è molto decente il vivere soli
nonostante
tutti rifuggano questo principio
e
allo stesso tempo tutti ci credano
e
ancor più onorevole è da soli morire
piuttosto
che accanto a qualcuno
di
cui non saprai non solo se t’abbia mai amato
ma
neanche se t’abbia appena percepito.
LA CINETICA DELL’AMORE
tante parole poste l’una sull’altra
le migliori incastrate l’una dentro
l’altra,
tanti momenti eccellenti,
tanti giorni radianti
la forza centrifuga, la forza
centripeta
la cinetica dei sentimenti che va
avanti
tanto costruire solo per mantenere
in piedi la costruzione
tanto sangue a mantenere viva la
convinzione,
mentre ci si coltiva in segreto un
equivoco
ed è qualcosa che nessuno aveva
previsto
qualcosa di irrimediabile, di
irreversibile
dovuto non a te e non a lei,
qualcosa che da ragione a te e dà
ragione a lei,
qualcosa che non si può più spiegare
perché ormai i termini hanno tutti
assunto
un significato diverso
da quello col quale erano nati.
Tuttavia
ci si accompagna dal tramonto all’alba, sicuri,
con i
soliti «Io ti capisco», «Anche io ti capisco»,
«Allora staremo insieme altri mille
anni almeno,
non ti preoccupare, amore»
intanto la fibra dell’amore si tende
e si sfilaccia, l’equivoco cresce;
certo, si dice «Ti amo» ancora
ma con il giorno e le ore prende il
senso di altre parole.
la storia finisce e il tempo ci dice
che
ci si è incontrati nel momento
sbagliato
per dei motivi giusti e ci si è
lasciati nel momento giusto
per dei motivi sbagliati
e ci fa pensare che sia amore vero
comunque,
e ci si convince ipocritamente
che tutto sia casuale.
verso altre storie uguali
che da lontano già gridano:
«Io non scelgo mai,
io sono il destino,
io sono la sensazione»
che accoglieremo piangendo
come una salvezza
e come fosse, questa volta,
l’ultima
decisione.
ITINERARI
PER PERDERSI
Ho viaggiato poco e male
spinto dalla convinzione che il
viaggio
randagio venisse meglio sentito.
Chissà perché pensavo
che il dormire all'addiaccio dovesse
scaturire
una rivoluzione in me stesso.
Ho viaggiato poco e male.
Ho viaggiato poco e male
ubriacandomi di paesi
nella breve durata del denaro contato
e volevo stupirmi esteticamente
ma a impressionarsi era la mia
fotocamera
raschiata di gelo e di polvere.
Ho viaggiato poco e male.
Chissà perché cercavo
le mie radici nei luoghi di altri
ignorandone in me la minima traccia
quando invece già possedevo un idioma,
il mio clima e un paesaggio
che a chiunque bastava.
Forse perché volevo dell’altro
un breviario di vita
per le mie domande rabbiose
ma dallo spazio calpestato
non ebbi molto più che dai quartieri
da cui ero partito e tornato.
In verità una sola risposta l'ho avuta
dalle convivenze con quelli
che mi hanno ospitato ho capito
che mai saremmo stati uguali
mai verremmo trattati allo stesso modo
il forestiero non è gradito.
L'integrazione che abbiamo barattato
con un lavoro che lo stato concede
per garantire illusioni
è una finta uguaglianza
affinché il sistema di produzione
indisturbato
continui.
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