venerdì 15 maggio 2015

Maria Grazia Insinga



Maria Grazia Insinga nasce in Sicilia nel 1970. Dopo la laurea in Lettere moderne, gli studi in Conservatorio e in Accademia, l’attività concertistica e di perfezionamento e l’insegnamento nelle scuole secondarie, si trasferisce nel 2009 in Inghilterra per poi tornare in Sicilia quattro anni dopo. Si occupa di ricerca musicologica – ha censito, trascritto e analizzato i manoscritti musicali inediti del poeta Lucio Piccolo – suona in un duo pianistico ed è docente di Pianoforte presso l’Istituto “Vittoria Colonna” a Vittoria in provincia di Ragusa. Nel 2013 inizia a scrivere in versi. L’anno successivo, con la silloge La porta meta fisica, ottiene la segnalazione al premio Lorenzo Montano. Sempre nello stesso anno - con il sostegno dell’Assessorato alla Cultura di Capo d’Orlando, idea il premio di poesia per i giovani Basilio Reale. - La Balena di ghiaccio – presieduto da Emilio Isgrò. Alcuni testi sono apparsi nell’antologia Il rumore delle parole. 28 poeti del Sud edita da Edilet. Nel 2015 vince il concorso Opera prima, iniziativa editoriale a cura di Poesia2punto0 con la silloge Persica.





Quella di Maria Grazia Insinga è una poetica che sfida abitudini lessicali, inventa nuovi linguaggi, contiene musicalità inusuali; poesia quindi non da leggere in totale relax, come quando ci prende il desiderio di versi d’amore di facile fruibilità, ma piuttosto da affrontare con l’impegno richiesto per risalire un sentiero di montagna quando, insoddisfatti del presente, cerchiamo un diverso punto di osservazione, una vista più ampia e insieme più profonda. Ciò che lei cerca infatti non è un lettore qualsiasi ma uno che abbia voglia di mettersi sulle sue tracce, di decodificare i suoi segnali e districare ciò che scientemente ha annodato.
Scommessa assurda questa di Maria Grazia, da favola antica, da principessa prigioniera che dissemina la strada di infiniti ostacoli per scoraggiare gli animi superficiali e selezionare, per contro, quelli capaci di sciogliere i suoi  enigmi e vincere il drago che è in lei, come farebbe un amante, un iniziato, un devoto.
Che strana questa sua pretesa di nascondersi per farsi cercare, antitesi perfetta a un mondo che cerca di attirare con ogni mezzo l’attenzione, di contendersi la platea, di gridare più forte per farsi sentire; che delicatezza quel suo parlare sottovoce, sperando che alla fine si faccia silenzio e che qualcuno si ponga all’ascolto, quel “nicchiarsi” nella mano per essere accolta, senza tuttavia sentirsi un gattino, bensì una tigre, una tigre gravida per giunta, gelosa del suo stato, incomprensibilmente autosufficiente, superbamente ripiena del suo mistero, della sua estraneità a ogni sistema, convinta  che una purezza sia possibile e che questa sia a lei predestinata.
Ecco dunque la sua poesia, impastata di riferimenti, allusioni, citazioni e metafore, tutte annodate insieme, che scava nei misteri esistenziali e si interroga davanti all’indecifrabile significato della realtà ontologica.
Partenogenesi è “la tigre gravida di se stessa, è “il figlio perfetto senza seme”, è dunque l’ambizione o la necessità di una verginità incontaminata, un espandersi dello spirito attraverso un processo iniziatico, un pellegrinaggio laico in cui ogni stazione è una conquista, un riprodursi della essenza animatrice.
Similmente Lighea è la sirena restituita all’acqua, l’incontro che si ferma sull’orlo del sogno, dove parlarsi è impossibile per l’inadeguatezza delle parole. “L’afasia è un infrangersi che soverchia la voce”, l’esperienza sensoriale è un’espansione dell’anima, un percorso di purificazione a cui è necessario presentarsi nudi, sine cera. Il mito non può entrare nel quotidiano, eppure il quotidiano non può fare a meno di lui. I due estremi vivono in antinomia, hanno linguaggi diversi, nessun abbraccio è dunque possibile, tuttavia da loro nascerà “il figlio perfetto senza seme” che renderà escatologico il viaggio.
La silloge è segnata da questa dualità tra poesia e realtà, tra desiderio di compenetrazione e impossibilità a realizzarla. Se forzi “la drupa carnosa”, ossia la poesia con la sua forza vitale, ne esce solo una voce, un canto, simile a quello della sirena Lighea, un modo di sentire a rovescio che cambia i connotati del reale, come una moneta a due facce, dove il battere e il ribattere segna forme e suoni che restano in opposizione, illeggibili gli uni agli altri. Anche se “raffiche di realtà penetrano il sacro recinto di ulissidi”, la conchiglia, ripiena della gemma della poesia, si rinserra sul suo  frutto e resiste alla risacca.
Ma qual è questa voce misteriosa, questo canto di sirena che ci ammalia e ci fa dirottare? Tutta la poetica di Maria Grazia ne risuona. “Persica” ha dentro musicalità nascoste, parole dimenticate o mai conosciute, leggende che alludono ad altre leggende. Non comprensibile di primo acchito, ha un fascino misterioso, una complessità profonda, come di libro perduto in fondo al nostro “sapere”, che chiede di essere decifrato e che promette, se questo sforzo facciamo, di lasciarci intravedere un mondo luminescente, una verginità dal male, un’abnegazione sacerdotale alla musica e al suono, un anelito non rinunciabile alla bellezza, una malinconia soffusa, una solitudine cercata, superba e umile insieme. Nessuna parola è messa a caso, nessun verso ha in sé il marcio del narcisistico esibizionismo di tanti; ogni allusione, similitudine, ricerca linguistica è indispensabile a trasmettere il senso di un mistero più profondo e a questo è finalizzata.
“Persica” è  dunque un percorso espressivo che risponde a una necessità vitale il cui senso è però aperto a significati plurimi. Il processo ermeneutico non porta quindi a risultati certi e definitivi dato che ad ogni rilettura è possibile scoprire un aspetto nuovo che prima ci era sfuggito. Alla fine ci accorgiamo che quest’ultimo non è intrinseco al poema ma a noi stessi e che, nell’interpretare i versi di Maria Grazia Insinga, abbiamo finito per comprendere qualcosa in più della nostra anima, trovando anche noi un “delta tra le schiuse” che non conoscevamo e per il quale ci pare di essere nobili.
La dualità di cui si è parlato, il confine doloroso tra anima e carne, come irrisolta aspirazione alla perfezione del nostro essere, è tracciata splendidamente nella poesia “Santa Maria dello Spasimo”:
Implora d’indulgenza il tremore alla luce/ chiedile qual è la paura…/ … , lascia che fluttui/ dentro il buio, riprenda il suo schianto/ lascia che lei ti porti con sé in alto…/”
Colloquio con l’assoluto dunque, ma impastato di umanità e di rabbia, in cui il poeta paga, in una sorta di sfida impossibile, il prezzo della sua finitezza:
“… vieni nell’acquario ciarla coi regni/ io nei tuoi volevo entrarci con la testa/ infuocata staccarti poi e morire dunque/ e dunque scriverti da lì ma tu sei/ lupo e trappola e bosco..)
E allora commovente sorge il grido quasi blasfemo, il dolore, l’imprecazione verso l’impossibile perfezione che ci è stata fatta intravedere come traguardo:
finite le terre finiti i testi a fronte/ sappi del mondo che crolla/mentre travasi il bene dal male.” “…slegarti da ogni metafora/ (anzi dal padre!) staccarti/ mentre la corda iugula/ rimanerti in gola, ingoiarti/ rimanerti in vita.”
Cos’altro può dire del resto il poeta, cosa può fare l’uomo nella sua ansia di verità e bellezza se non misurarsi con l’eterno essendo mortale, con l’infinito essendo finito, con il desiderio di bene vivendo il male, cos’altro se non salire a vuoto su torri sdrucciolevoli assecondando la sua follia?
: “Possiamo solo nascere, erigere/ torri impraticabili, torri per lanciarsi/ tra i fiati, gli sdruccioli della gola/ torri per andare in su a vuoto/ torri sdrucciolevoli, torri sirene.”

Ecco, sta qui la straordinaria poetica di Maria Grazia Insinga così come io l’ho capita e amata. Se quello che ho osservato è soltanto la proiezione dei miei fantasmi e dei miei limiti o se trova  riscontri nelle sue intenzioni, solo lei potrà dirlo, ma credo che non lo farà, per non imporre alcun punto di vista e rendere il lettore più compartecipe della sua poesia.
Se è così, toccherà agli altri aggiustare il tiro di queste mie povere ma affettuose osservazioni.  


Maria Grazia Insinga "Persica"  
Cierre Grafica in coedizione con Anterem Edizioni
La silloge fa parte della Collana editoriale "Opera Prima" 



Partenogenesi

La tigre voleva solo nicchiarsi nella mano
credo fosse gravida e non esisteva per questo
alcuna spiegazione. Capire da che parte
fosse entrata era impossibile e all’ora delle doglie
senza alcun mondo - se non un delta tra le schiuse -
spaccavo, leggevo a caso le fratture a strisce
il pellegrinaggio, la purezza fulva a me predestinata.

*

Lighea resa all’acqua
senza rudimenti di nuoto
- l’afasia - è un infrangersi
che soverchia la voce.

Dirti quel che non so, delle ossa
null’altro - nella distanza - il figlio
perfetto senza seme è una stazione
ogni stazione un pellegrinaggio.

Sine cera, inadeguata
adeguata solo a me stessa
ancora squaglio, nascondo
all’anagogia - al buio - le dita.

E ogni quarto di luna
è un quarticino.


La drupa

Parlava e così fui sommerso, dopo quello del sorriso e dell’odore,
dal terzo, maggiore sortilegio, quello della voce.
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, “Lighea”


Non s’apre la drupa carnosa
la forzi e fuoriesce la voce il sortilegio
argentea moneta a rovescio incuso il delfino
guizzante nel porto falcato fuori corso e prima e
dopo e in corso d’opera voce corriva o circospetta
nelle scorribande del timbro ode e ancora sigillo non
casuale occorrenza corre ricorre pietra sempre corrosa dall’acqua…

… e raffiche di realtà penetrano il sacro recinto di ulissidi per forza
io senza rumore a ogni punto di morte recito il nome
forzo la sbergia recido litanie isola persica bocca
di terra lilia e lingua di terra nera libro porta e
morso segno logo e nicchio anaïs femmina e
conchiglia fòlade risacca e lunaria cibele
lighea e luce e semenza e poesia.


Santa Maria dello Spasimo

Dai nomi falsi allo spasimo
io, l’altra sobilliamo i nomi della luce
sibilliamo tagli di confine
carnei allo scadere del mondo
e il carniere colmo al muro
- sublime doppio - al muro
dove finisce il mondo
permane di bene, male.

Implora d’indulgenza il tremore alla luce
chiedile qual è la paura, al panico di cosa
fa’ che mai più nomini
dai solo nomi falsi e lascia che fluttui
dentro il buio, riprenda il suo schianto
lascia che lei ti porti con sé in alto
lo sai? - in immagini rispondo ogivale
mia prima d’esser mia.

*

mortifica in suono - o forse no - la voce
vivifica le crettature sulle lingue mute
per lo splendore insoluto della terra
e vieni nell’acquario ciarla coi regni
io nei tuoi volevo entrarci con la testa
infuocata staccarti poi e morire dunque
e dunque scriverti da lì ma tu sei
lupo e trappola e bosco e ti dicevo
per meccanismi sotterranei tenersi
per uno scrollo spiumato un crollo
nell’immaginazione scoperte, ricoperte
di disianza nel gelo dove tu dici
strana senza rimedio io dico vieni
congelati accanto o ustionami. Perché
ogni giorno diverso ti sorprendi
dello stesso male? Perché insoluta è
la sovranità della tua immaginazione?
l’età del dipinto di te? della tua purezza?

*

Slegarti da ogni metafora
- anzi dal padre - staccarti
fuor di metafora la rabbia
(ingoia l’oscuro sottinteso
e tutta l’infanzia in un gelsomino!
)
finite le terre finiti i testi a fronte
sappi del mondo che crolla
mentre travasi il bene dal male.

Risparmiarti la luce ogni sua
traduzione - fuor di metafora
staccarti sin dall’inizio -
(vieni fuori… fuori!)
ché la rabbia ci ingoia, ci sputa
- mi avresti capita - il travaso
rimetteva lingue su lingue
i borboni disegnavano vite
su vite su vite finite
le terre finiti i testi a fronte

slegarti da ogni metafora
(anzi dal padre!) staccarti
mentre la corda iugula
rimanerti in gola, ingoiarti
rimanerti in vita.


Salmo

Dentro il libro folle a marosi.
Qui fuori nessuno. E di nessuno
rosa di nessuno verso di nessuno direzione
di nessuno contro di nessuno vento di nessuno
corrente di nessuno voltare di nessuno andare
a capo di nessuno ultimatum di nessuno riguardo
di nessuno paragone di nessuno prossimità
di nessuno approssimazione di nessuno sangue
di nessuno denaro di nessuno acqua che precipita
di nessuno rovescio di nessuno pari di nessuno
pollice di nessuno dipinto di nessuno papiro
di nessuno moneta di nessuno credito di nessuno
gonfalone di nessuno salmo di nessuno nessuno.



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