Dopo "In una notte lunga di un giorno che non conta" segnaliamo questo nuovo libro di Antoella Antonelli
SULLO STANCO MANTRA (Ed. Progetto Cultura)
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Nota critica
di Renato Fiorito
In genere, le note introduttive annoiano, il
poeta che spiega se stesso spesso è pleonastico, non però nella nota
introduttiva di Antonella Antonelli che è poesia essa stessa e, perfino, tra le più belle che io abbia letto,
poiché spiega davvero, aprendo il cuore ad accogliere la poetica di “Sullo stanco
mantra”, la nuova piccola, intensa raccolta di 12 poesie di Antonella.
E’ lei stessa infatti che ci spiega il perché
di questa silloge, e io, che non saprei dire meglio, mi arrendo e mi limito a
copiare stralci della sua nota: “Cercavo
un ritmo che… si facesse preghiera, un mantra che guarisse le ferite… e piano,
piano il vuoto si è riempito di lettere diventate… fiume o cielo. Parole prive di rassegnazione... Lo stanco mantra è la consapevolezza che si può perdere
ogni cosa ma non se stessi… Scrivere poesia è questo… un fico d’India in mano
ad un bambino. “
Poesia dolce e insieme disperata
è questa di Antonella Antonelli che, con una sensibilità accesa, spesso febbrile, ricorda per stile e furore quella di una grande poetessa del ‘900, Maria Marchesi, ora purtroppo quasi
dimenticata. Le emozioni che noi inutilmente cerchiamo di domare, lei le lascia invece a briglia sciolta senza preoccuparsi di dove la porteranno. Versi densi di colore, prosodie,
allitterazioni, rigore ritmico, e dietro la risacca delle parole “si placa il
cuore/ riemerge bambino”.
Un mare in tempesta, dunque, fatto di emozioni, fughe, bilanci intransigenti e senza sconti soprattutto con se stessa, tesi a inseguire un’utopia di perfezione a cui non vuole rinunciare, nonostante la paura che ogni abisso fa: “Chiedo perdono al mondo/ perché ho rubato tutto. /Profonde le galassie / profondi anche gli abissi/ c’è un solo mostro in fondo. / Seppure legato / si nutre del mio timore”
Un mare in tempesta, dunque, fatto di emozioni, fughe, bilanci intransigenti e senza sconti soprattutto con se stessa, tesi a inseguire un’utopia di perfezione a cui non vuole rinunciare, nonostante la paura che ogni abisso fa: “Chiedo perdono al mondo/ perché ho rubato tutto. /Profonde le galassie / profondi anche gli abissi/ c’è un solo mostro in fondo. / Seppure legato / si nutre del mio timore”
Antonella sa di muoversi
solitaria, ma non cerca compagnia e apparentemente non cerca consenso, ma nella
sua solitudine c’è un grido che pretende amore e tradisce la coscienza viva del
proprio valore: “E’ della nostra unicità
che si compone il tutto.”
E infine c’è una confessione, lunga
difficile, severa, che mette in discussione la sua e le nostre vite, il nostro
andare prudente, e ci fa sentire debitori insolventi del mondo e, tuttavia, creditori
di una felicità che non abbiamo saputo conquistare. “E queste colpe/ le colpe/
chi le toglierà/ dal mio pigiama/ di lana/ alla divisa / lisa / di carcerata/
negriera e carceriera /spietata."
Una silloge da leggere dunque, per andare là dove da soli non sapremmo, rara e bruciante in questo panorama poetico un poco asfittico, un poco conformista; rara per
concezione lessicale, per sincerità e profondità di analisi, per musicalità del verso e fantasmagoria delle immagini che si si susseguono
serrate come note di un sorprendente concerto.
E' già luce da qualche parte
Ecco,
cade l'ultima goccia
dalla brocca.
Quella sola è rimasta
d'una notte di festa.
Si ferma gonfia,
per un attimo
inghiotte la luna.
L'abitudine ci addita.
Sono tutte uguali
queste morti,
issano bandiera bianca.
E' già luce
da qualche parte.
Ognuno si poggia
a qualcosa di non suo.
Non ci appartiene il terreno.
Dondoliamo senza colpa
senza grazia.
Perdonate
la nostra incapacità
di saltimbanchi.
Ecco,
cade l'ultima goccia
nel bicchiere.
Fa lo stesso rumore
del sacco della vita.
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