giovedì 18 febbraio 2016

Biancamaria Frabotta



(foto di Carla Morselli) 
Biancamaria Frabotta è docente di letteratura moderna e contemporanea all’Università La Sapienza di Roma. È autrice di saggi, opere di critica letteraria, un romanzo, opere teatrali e radiodrammi. Ha curato l’antologia di poesia femminile italiana Donne in poesia (Savelli,1976) e l’antologia di saggi e di testi poetici Poeti della malinconia (Donzelli, 2001). Ricordiamo tra le sue numerose raccolte: Il rumore bianco (Feltrinelli, 1982);  La viandanza (Mondadori 1995 con cui ha vinto il Premio Montale; La pianta del pane (Mondadori, 2003); Da mani mortali (Mondadori, 2012).




Ho tra le mani questa rara plaquette di Biancamaria Frabotta intitolata: Per il verso giusto, della quale sono state stampate solo 999 copie in occasione del Premio “L’olio della poesia”, assegnato nel 2015 alla nostra poetessa a Serrano di Carpignano Salentino; premio che, negli anni precedenti, era già stato attribuito a poeti della statura di Eduardo Sanguineti, Alda Merini, Mario Luzi, Giovanni Raboni, Valerio Magrelli, fino a Vivian Lamarque e Jolanda Insana.

La plaquette è stata curata da Massimo Melillo e contiene parecchie curiosità, tra cui alcune bozze scritte con ordinata calligrafia dall’autrice, utili per indagare il suo processo creativo, delle belle foto scattate da Carla Morselli, e quattro traduzioni di poesie di Emily Dickinson che ben si armonizzano con la sua sensibilità e le tematiche della nostra poetessa.
  
La prima poesia, intitolata Il treno della Bellezza, descrive con leggerezza e arguzia un gruppo di poeti di ogni età e valore che, in viaggio su un treno da Palermo a Catania, si organizza per declamare versi, quasi costringendo i passeggeri ad ascoltarli. Con rapide pennellate viene contrapposta l’atmosfera sonnolenta del treno all’entusiasmo utopico dei poeti che, sfidando le leggi della concretezza, tentano di cambiare l’immutabile corso del viaggio col colore dei loro versi. Sono sacerdoti di un credo iniziatico un po’ folle secondo cui la bellezza delle parole può mutare il sentire delle persone e renderle migliori. Tra loro c’è il poeta Elio Pagliarani, poeta del gruppo 63 e giornalista, che Biancamaria Frabotta nomina con le sole iniziali E.P. ma del quale, citando il libro Fecaloro, finisce per svelarne l’identità. I poeti vorrebbero creare interesse tra i viaggiatori distratti ma alla fine solo “due ragazzi, morsicati sul vivo/ trascolorano in viso..” e dimenticano di scendere alla loro fermata. Ecco dunque che il risultato sperato, almeno in parte, si realizza e il viaggio non potrà dirsi inutile.


Il treno della Bellezza.

Veniva dal nulla di erbe stecchite
Il treno che andava da Palermo a Catania.
Dentro il cielo di un giorno feriale
L’altoparlante annunciava i poeti
di marciapiede, d’ogni età e valore.
Avevamo una missione degna di riso
di vergogna o di forte e giusta gioia.
Prendere in ostaggio uno qualsiasi
che volesse ascoltarci, magari
dimenticando il suo pendolare
la barba non fatta, le ginocchia piegate.
Un pubblico assonnato. E necessario
ai nostri versi incompiuti.
Ma ecco che legge E.P.
burbero, barbaro, incantatore.
Si scosta gli occhiali, il Grande
Miope, s’incolla alla pagina oblunga
del suo Fecarolo. Sa di caverne
la voce, di un corpo che suona
per prova, che batte e ribatte
una sua dolce manìa.
Due ragazzi morsicati sul vivo
trascolorano in viso, smarriti
non vedono l’errore sublime
né la loro consueta fermata.  


Altra poesia che vogliamo riportare è Il silenzio della bicicletta, dove la metafora del viaggio ha accenti malinconici, specie quando l’adesione perfetta all’avvolgente silenzio della natura viene raffrontata con la guerra di parole taglienti, pronte ad aggredire, che la vita in genere riserva e che li porterà a ripensare a questo breve momento di armonia con doloroso rimpianto.


Il silenzio della bicicletta  

Sembra che tocchi il pedale
le nascoste radici dei pini
la strada stretta fra i campi
la fossa al bordo degli ulivi
lo sterco di cavalli, o di mucche
il nostro andare fra alti e bassi.
Ascoltiamo, fra i toni di verde
il silenzio della bicicletta.
“Siamo alla frontiera e dietro
me non c’è nessuno”.
Parlavo senza pensare se tu
mi udivi, nella quieta volata
fra vetrine scintillanti di ali.
Ci aspetta una prova di guerra
di parole taglienti scambiate
efficienti, già pronte ad agire.
Ascoltiamo, come su un’isola
il silenzio delle biciclette.
L’infinito aculeo della pace perduta.


Anche nell’ultima poesia che proponiamo  “La coppia. Il legno, la gobba” un momento di serenità viene contrapposto alle durezze della vita. In una prima versione la lirica si chiamava “I legnetti ingobbiti”, proprio per indicare la deformazione che il tempo immancabilmente porta nelle nostre esistenze. 
L’atto di accostare i lembi di una  stoffa che si vuole far combaciare, descritto nell'incipit “Prendersi per il giusto verso, con cautela afferrarne il lembo…”, è metafora dell’incontro fondato sulla gentilezza e l’attenzione.
Ma la Frabotta non si abbandona al languore di questa suggestione, poiché subito dopo chiama questi ragazzi: “scorticati di belle speranze”, lasciando così che la realtà irrompa nei versi con la sua durezza . E con amara ironia aggiunge: “dal regno della treccia, della frangetta/ illuminata dall’assalto dei bacetti/ ci difendeva l’economia domestica/ ci insegnava a trarne vantaggio.” introducendo così un ulteriore elemento di disarmonia, costituito dall’idea del “tornaconto”, che sottomette definitivamente gli ideali all’interesse. Per questo l’amore sonnecchiante, fertile dei frutti agognati, è destinato a deludere. Il fusto apparentemente bello e liscio dell’albero si rivelerà presto privo di vita e i valori che si credevano in cima alla scala si appalesano falsi. Dunque "o io o loro", conclude l’autrice, svelando l'inganno e invitando le bambine a fuggire, per sottrarsi  al vuoto e al silenzio che soffia in cima all'albero delle convenzioni.


La coppia, il legno, la gobba

Prendersi per il giusto verso
con cautela afferrarne il lembo
già un po’ scostato dalla pelle
e tirare, attirati l’uno dall’altra
gli scorticati di belle speranze.
Dal regno della treccia, della frangetta
illuminata dall’assalto dei bacetti
ci difendeva l’economia domestica
ci insegnava a trarne vantaggio.  Amore
condiviso, sonnecchiante, fertile di frutti.
Ma l’albero ferito aveva l’aria di soffrirne
sotto il fusto liscio spuntava un lattante
dalla faccia secca. Andate via. Sparite
belle bambine, in cima
ai valori della scala dove già
soffiavano, indolenti, i silenzi
O io o loro.
La coppia, il legno, la gobba.






Solo poche poesie, dunque, in cui però subito si intravede l'attenzione della poetessa alla condizione femminile, il suo guardare alla realtà come a lei appare, senza edulcorazioni, che si fa prospettiva critica, voce meditata e sommessa, impegno civile. 
Osserva in proposito Antonio Errico “Alla realtà pretendono di aderire le parole di Biancamaria Frabotta, a volte pacatamente, a volte in modo incalzante, rifiutando ogni artificio, ogni ridondanza, cercando l’armonia o la disarmonia, a seconda che armonico  o disarmonico sia quello che ci accade intorno e dentro, cercando l’essenza, il lievito, la sostanza….” 


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