Giovanni
Pistoia è poeta calabrese nato a Corigliano Calabro (Cosenza). Ha conseguito la
laurea in Filosofia presso l’Università “La Sapienza” e espletato,
successivamente, attività didattica e educativa presso diversi Istituti
superiori statali. Autore di articoli, saggi, recensioni, ha pubblicato molteplici
testi in prosa e raccolte di poesia. È presente in molte antologie poetiche e cura
siti di letteratura e di cultura poetica. Suoi servizi,
commenti e articoli appaiono su numerosi giornali e riviste.
È stato presidente della Fondazione Carmine De Luca, un sodalizio di cultura pedagogica, dalla sua
istituzione (2003) al 2010. Fino agli anni ’90 è stato impegnato politicamente
come amministratore della Provincia di Cosenza e della sua città Corigliano Calabro, di cui è
stato anche sindaco per un breve periodo.
Alcuni dei testi dell’autore:
Quando raccolsi la luna – Parole naufraghe,
2019 che qui commentiamo. Inoltre: Il libro e la matita – note di letture,
2018; Quel bel convoglio della fantasia, 2017; Privati silenzi, 2017; Nel
silenzio della parola, 2017; Voci del Sud - tracce segni idee, 2012, 2017; Il
mare a primavera - racconti dal web, 2012, 2017; La parola e il tempo - pagine
sparse, 2013, 2017; Le rondini sono piene di cielo, 2013, 2017; Alle radici del
presente. Vita morale e materiale in Calabria in un manoscritto del Seicento,
1996, 2013, 2016, 2017; Il dolce abbraccio della parola - Appunti e note di
lettura, 2014, 2017; Capuana e la letteratura per l’infanzia, 2014; Sentieri di
pagine - Appunti e note di lettura, 2014, 2017; Ci lasci uscire, bella signora!
2014; Intervista sulla piana di Sibari. Raccolta di scritti apparsi tra il 1986
e il 1988, 2015; Fatica e Povertà e Altri Scritti, piana di Sibari: note di
storia economica e sociale - Raccolta di testi apparsi tra il 1988 e il 1998,
2015, 2016; Parole mai stanche da lunghi viaggi - Note e noterelle dell’altro
secolo, 2016; Momenti di storia nella Calabria del XVI secolo, 1996, 2016; Come
il fiume fluisce verso il monte - poesie, 2013, 2017; Sono foresta tra sogni e
silenzi - poesie, 2014, 2016; Se solo potesse dar voce - poesie, 2014; La sfida
- Poesie in compagnia, 2014; Parole d’acqua e di vento, 2015; Mi racconto la
luna - piccola antologia di vagabondi pensieri e fragile poesia, 2015; La
memoria e la fionda - parole scritte a bassa voce, 2015; Il vento restò senza
respiro - poesie - scelta e prefazione di Anton Nikë Berisha, 2017 - il testo
appare anche in lingua albanese, 2017.
“Quando
raccolsi la luna - Parole naufraghe”
di Giovanni Pistoia
(seconda edizione
ampliata – youcanprint settembre
2019)
acquistabile on-line anche su IBS con lo sconto del 15%:
Nota di Renato Fiorito
“Quando raccolsi la luna” è l’intrigante
titolo che Giovanni Pistoia ha voluto dare alla sua ultima raccolta poetica. Il libro
è diviso in tre sezioni. Nella prima, intitolata “Vuoti di luna”, sono
raccolte 85 poesie, che trovano poi coerente prosecuzione nella seconda sezione: “Spazi
analfabeti” in cui, abbandonata la forma poetica, l’autore continua a sviluppare in prosa le sue riflessioni circa l’essenzialità della parola, il
tempo che tutto cancella, la necessità di resistere alla invadente barbarie. Nell'ultima
sezione, “Pensieri scompigliati”, una serie di aforismi concludono l’opera
con una nota di saggezza e ironia, come avviene, per esempio, in questa massima che riporto: Chi è convinto di possedere la verità non
la cerca. E non sa quello che si perde”.
Siamo di fronte a un libro semplice e complesso al tempo stesso, ossimorico, disarticolante: libro
dell’amore fiducioso per la parola e, insieme, del rammarico per la sua
inadeguatezza, della ricerca del senso della vita e della coscienza della sua
transeunte fragilità, ma soprattutto libro di grande delicatezza, di discorsi fatti sottovoce, come ad un compagno di viaggio di cui si condivide lo
smarrimento e la sorte.
Scrive ad esempio l’autore in “Spazi analfabeti” (pag.90): “Le parole non sanno da dove vengono né dove sono dirette. Disconoscono perfino il loro autore. Sanno di miele e di fiele. Il loro destino è sfidare il tempo e raccontare ancora. E io che vorrei dire cosa sono non trovo parole per raccontare.”
Scrive ad esempio l’autore in “Spazi analfabeti” (pag.90): “Le parole non sanno da dove vengono né dove sono dirette. Disconoscono perfino il loro autore. Sanno di miele e di fiele. Il loro destino è sfidare il tempo e raccontare ancora. E io che vorrei dire cosa sono non trovo parole per raccontare.”
Significativo è il titolo della prima
sezione “Vuoti di luna” con cui l’autore sembra alludere all'ingannevole concretezza delle cose che dietro ogni realtà nasconde un fondo irrealtà e dietro ogni consistenza un vuoto. La inadeguatezza delle parole è figlia di
questa illusione, dell’incessante mutamento che cancella le cose che amiamo, sostituendole con quelle che non conosciamo.
Sin dal primo verso della raccolta l'autore rivela il tema
portante dell’opera: la parola come indispensabile alimento dell’anima,
ermeneuta di una realtà che senza di essa sarebbe materia grezza, priva di
vibrazioni.
Ma anche le parole, pure così indispensabili, si
rivelano a volte inadeguate alla loro funzione di disvelamento, allora più di esse vale
la realtà di un dettaglio, il gesto involontario, la corporalità dell’esistere:
“Le parole/ dicono di me ben poco/” confessa il poeta “Non fermarti/
a quel che dico/ a quel che scrivo;/ cercami / negli sguardi incompiuti,/ nelle
mie mani impazienti...”. (pag. 32)
Nella poesia di Giovanni Pistoia viene così approfondito il rapporto tra parola e silenzio e il sotteso significato delle pause scavate tra parola e parola, che sono verità non dette, più
intriganti e destabilizzanti della consolida certezza: "Tra
una sillaba/ e
l’altra,/ una
parola/ e
l’altra,/ un
silenzio/ e
altro silenzio ancora,/ c’è
tutto quello che so,/ e
che non so. Sono/ nel
vuoto delle pause/ mai
del tutto vuote,/ e
non so dire. (pag. 29)
È in questa terra di confine, oscillante su una
realtà mutevole, incerta, ingannatrice, che si pone il poeta. Ciò
che sembra solido e sicuro presto si dissolve, le persone amate vengono inghiottite dal tempo, lasciando dietro un deserto, l’ombra del ricordo che
sbiadisce col tempo: “Dunque,
non resta che il ricordo! / Dall’albero cadono ancora giorni / come foglie,
fronde rinsecchite. / Amici che vanno via, senza rumore / a volte, come per non
disturbare, /piume che si disperdono nel vento...” (pag49)
Così la realtà lentamente diventa anch’essa
eterea, le giornate vengono abitate dalla nostalgia e una sensazione di
solitudine e precarietà invade l’anima. Allora la parola non basta a
contrastare lo spaesamento di una mutante e illusoria realtà “Mi sono consegnato
al silenzio, / come i sassi battuti dal vento/ non trovo più le parole/ che ne raccontino gli abissi./ Ho nostagia della mia voce.” (pag
31)
Sono dunque da invidiare le stesse pietre che
mantengono una loro inattaccabile persistenza “... Non sa la pietra d’essere
pietra; e mi inquieta/ quest’esistenza che non mostra turbamento./ Vince il
tempo e immortala, tacendo, la parola.” (pag 38)
Parola mite eppure potente è questa di
Giovanni Pistoia. Sale in superficie come bolla d’aria, senza travestimenti,
adulterazioni, nascondimenti, stucchevoli esibizionismi letterari. Essa ha una
verità essenziale da dire, che urge e che ha bisogno di registri
condivisi e comprensibili per non essere travisata; verità che
proviene dall’oscurità dell’anima e che vuole farsi epifanicamente luce.
Quando leggo
o sento che la poesia sarebbe morta (in realtà lo si dice da
decenni) penso, al contrario, che, pur nella troppo ampia platea di facitori di
versi, mai come in questi anni essa sia ricca di talenti dei quali ancora non si ha piena consapevolezza. Tra qualche decina di anni, quando la polvere del quotidiano brigare
sarà posata, potrà essere riconosciuta e celebrata. Credo che tra questi
talenti potrà esserci anche Giovanni Pistoia.
Vuoti di luna
Cerco tra le mie carte cose non scritte,
vuoti di luna, ferite ignote. Nulla
è più reale dell’abisso remoto che morde.
Il vento impetuoso soffia il taciuto.
Come
vento muto
Sento
tanto l’urgenza della parola
e
non oso pronunciarne alcuna.
Sono
con il mio silenzio uggioso
il
mio silenzio ottuso. Freme
la
parola come vento muto.
Liberate la poesia
Liberate, voi che potete, la poesia
dagli scaffali, non depositatela sugli
altari;
sia come l’acqua: irrighi i campi, disseti
i fiumi,
abbracci i mari, e come l’acqua torni
alle sorgenti perché vita torni.
Voi
Voi che ve ne state al di là
dell’orizzonte,
vi prego, non chiedetemi di raggiungervi,
sono stanco, e non so nuotare. Venitemi
incontro, sono ad aspettarvi su questo
lido,
innamorato dei miei piedi scalzi e delle
mani
nude, che col secchiello portano via il
mare.
Amica mia
Il mare non è quel che tu vedi,
le onde che ti bagnano, l’orizzonte
le onde che ti bagnano, l’orizzonte
quiete
del tramonto fiacco; il mare
è
il battito che avverti, i segreti
che
rivela, le voragini che scava,
il
pentagramma sui quali scrivi
note
che ignaro custodivi. Il mare
è
come il libro, non è lo scritto che ti culla,
ma
quello che leggi tra le pagine che scorri,
tra
gli spazi che narrano il vuoto che riempi.
Quel
che non vedi regge ciò che appare;
è
forse questo il mistero che cerchiamo.
Mute
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