venerdì 18 maggio 2018

Guglielmo Aprile











Guglielmo Aprile è nato a Napoli nel 1978. Ha lasciato la sua città dieci anni fa per trasferirsi a Verona dove ora vive e insegna. Di lui mi scrive: "...non ho macchina; sono scapolo; vado a letto presto, e tra i miei progetti per il futuro c'è quello di allevare canarini, non ho molta dimestichezza con la mondanità letteraria che si pavoneggia sui social; non appartengo a consorterie e a gruppi, non ho tessere di partito".  Dunque una vita appartata, ma da poeta autentico, fedele a se stesso e alla propria umanità, che non si preoccupa di apparire ma di essere, sapendo coltivare desideri semplici e bellissimi come quello di allevare canarini, comune a molta gente di Napoli, sempre capace di trasformare la vita in poesia. 
Guglielmo è autore di diverse raccolte, tra le quali: “Il dio che vaga col vento” (Puntoacapo Editrice), “Nessun mattino sarà mai l’ultimo” (zone), “L’assedio di Famagosta” (Lietocolle), “Calypso” (Oedipus). Per la saggistica, ha collaborato con alcune riviste con studi su D’Annunzio, Luzi, Boccaccio e marino, oltre che sulla poesia del Novecento.



Guglielmo Aprile: 

“Il talento dell’equilibrista”

Giuliano Ladolfi Editore 2018

  

Limpidamente poetica e profondamente umana è questa silloge di Guglielmo Aprile. Tema dell’opera è la coscienza del tempo e la sua forza distruttrice. La sua evidenza incombe in ogni verso, incidendo la carne del lettore e ponendolo di fronte alla illusorietà delle sue certezze. La speranza è ridotta a pura macchia di colore, pietosa bugia a cui è vano affidarsi. Niente serve a rassicurare: i palazzi si sfaldano, si sbriciola il cemento, i compagni di viaggio ad uno ad uno se ne vanno: 

“… i rematori non smettono di vogare/ nemmeno se il mattino dopo un altro manca all’appello;/ la comitiva, al rientro,/ conta sempre qualcuno di meno/ rispetto al numero dei presenti alla partenza:/ ma fatica a ricordare/ nome e connotati di chi risulta disperso/ o è caduto in un dirupo”. (da “Saluti finali” pag 24)

Soltanto insetti ripugnanti sopravvivono alla catastrofe: 
"Solo le mosche si salvano dagli incendi, eredi uniche, ironiche vincitrici sull’apocalisse.” (da “Tirando le somme” pag. 22)

Il talento dell’equilibrista” svolge tematiche spiazzanti, sorprendenti negli argomenti e nel modo di porli.  Il nichilismo di cui è pervaso, più che da astratte connotazioni filosofiche, discende dalla contingenza e si alimenta dell’esperienza ontologica della perdita e della malattia. Poiché ogni cosa muore Guglielmo Aprile  ne deduce che la realtà sia semplice apparenza, negandone alla radice la consistenza. Ne consegue un sentimento rinunciatario, una sensazione di solitudine e di angoscia, resa con umana, dolorosa partecipazione. Il poeta attraversa il mondo da estraneo, convinto che la transitorietà delle cose non gli permetta di godere appieno del presente, della sua bellezza, che pure a tratti appare, poiché tutto, prima o poi, viene restituito decomposto, sotto forma di polvere. L’analisi impietosa svuota così la realtà dal di dentro, lasciando al posto di ciò che si ama, solo scheletri inguardabili. 

“… alle donne piace fare progetti/ ma da stamane la spiaggia è occupata/ da un capodoglio morto, gonfio di ammoniaca,/ ecco qual era l’esito/ della promessa reiterata delle onde, non torneranno all’alba i pescherecci/ che si fidano dell’azzurra/ abbondanza del domani.” (da “Doccia fredda” pag. 58)

Sin dalla prima poesia Guglielmo Aprile ci introduce in un  universo dolente nel quale le azioni quotidiane sembrano prive di senso, inadeguate, a tratti perfino ridicole, dettate come sono solo dalla necessità di ingannare noi stessi. 

Prognosi

Conosco il destino delle auto incidentate,/ mi smantelleranno/ pezzo per pezzo, i beni in ipoteca/ si svalutano, o si danno alla Caritas;// rifiuterò le cure palliative,/ la chimica farà valere i suoi diritti:/ presto avrà fine questa serie di oneri/ così sterile,/ digitare il codice di accesso,/ orientare lo stendibiancheria/ verso nord al mattino,/ andare ad urinare ogni tre ore.

Una sorta di pessimismo leopardiano stringente e struggente avvolge il poeta.  Invano egli cerca un senso alle vicende umane poiché, di fronte al lento dissolversi delle cose egli non può che concludere nichilisticamente che tale senso non c’è.
Ma l’uomo non accetta la sua mortalità. Come osserva acutamente Giuliano Ladolfi nella prefazione, la cultura occidentale si ribella alla morte, la sua poetica è tradizionalmente attraversata dal tentativo di negare la caducità della condizione umana. Il talento dell’equilibrista consiste quindi proprio in questo: nel mantenersi in sospensione, nonostante la forza di gravità, nel camminare sul filo teso dell’intelligenza, nonostante la paura del vuoto, nell’immaginare l’eterno anche se intorno tutto deperisce. Dobbiamo farlo per strappare un senso alla vita, per rubare il fuoco agli dei, per ribellarci alla malattia e al dolore.

Per questo Aprile si sdoppia, si guarda da fuori, divenendo insieme soggetto e oggetto di osservazione. Analizza il suo desiderio di vita e lo mette a confronto con la sua fragilità. Ed è proprio qui che i suoi versi si fanno più struggenti, commoventi e ironici allo stesso tempo per quell’Eden fatto intravedere e subito negato, per il manto crudele e misterioso dell’eterno che ci comprende e, tuttavia, ci esclude: “non dovrei amarla/ questa grazia breve/ che di primo mattino imperla/ milioni di ciglia destinate alle fiamme,// lo so che sbaglio ma non so correggermi.” (da Cerchio stregato pag. 91)







In vendita on line presso il sito dell'editore:



o su Mondadori Store:






Congedo tardivo

Datemi una valida scusa per restare,
che compensi
la troppa acqua fredda accumulata nelle ossa
e la scarsa ossigenazione degli ambienti,
i rischi di embolia
nel raccogliere monete da sotto il letto;


questo regno dei cieli quando arriva,
in ogni fine c’è una liberazione,
sono impaziente di restituire
gli oggetti ricevuti in prestito,
spero di lasciare questo albergo sgraziato
al più presto.



Orma di sabbia


Me ne intendo di cose che finiscono. 
La pioggia laverà
senza troppa fatica né scrupolo
dichiarazioni d’amore e scritte oscene
sui muri della stazione;
dove oggi la città innalza i suoi gonfaloni
rinverranno fra qualche tempo
solo la vertebra di un pesce preistorico;

lo scorpione sopravvivrà all’uomo
di parecchi deserti:
è molto più incline a venire a patti
con la sabbia e il vento, e ne sarà risparmiato. 



Mondo perduto



L’hanno messo sotto sequestro, a seguito
di indagini, l’ex biscottificio:
fantasticavamo di intrufolarci
da bambini, la notte, nei suoi regni.

Non trovo oggi un solo compleanno
che passerebbe indenne
l’esame obiettivo, spietato del contabile;
non un confetto, un giro sulle giostre
di una vacanza estiva,
se osservato senza binocolo:
non una figurina dei miei album Panini
scamperebbe
alle ganasce del compattatore
per la differenziata. Eppure cosa

pagherei per riaprire, almeno un’ora,
il libro degli animali illustrato
che mi teneva compagnia, a letto,
a dodici anni, quando ero ammalato.



Ultima corsa

Inutile portarsi dietro l’intero guardaroba
in vista del viaggio. Tanto non passano la dogana
le cornici dorate
e le teste di orso impagliate,
l’abbronzatura presto sarà sparita;
andato perso il bagaglio
per colpa dei ladri o per la fretta
di non perdere una coincidenza.

Ogni sera la stessa stazione anonima,
fa paura
dopo l’ultima corsa: è qui che scendo,
i fanali mi compatiscono,
la valigia vuota eppure così pesante.



****

L’esito delle analisi esce sempre troppo presto;
non contatterò il tecnico
per chiedergli spiegazioni su quegli
strani sibili dalla caldaia,
non andrò a Delfi
per fare chiarezza una buona volta
su queste fitte tra le vertebre,
sui sempre più frequenti
barbagli violetti ogni volta
che Saturno tocca il suo perielio.

Rimando ogni giorno
il ritiro del referto e l’apertura della busta,
mentre questa piazza
sembra si voglia fare bella
per la festa di stasera.



Nessun commento:

Posta un commento

Grazie per il commento. Verrà pubblicato dopo essere stato moderato.