Nicola Grato è nato a
Palermo nel 1975 e si è laureato in Lettere moderne con una tesi su Lucio
Piccolo. È autore delle raccolte poetiche: "Deserto giorno" (La Zisa
2009), “Inventario per il macellaio” (Interno Poesia 2018) e "Le cassette
di Aznavour" (Macabor 2020). Scrittore di racconti e saggi si è anche occupato di
biografie popolari ed è
stato drammaturgo per il Teatro del Baglio di Villafrati (PA). Le sue poesie sono apparse su Atelier,
Poesia del nostro tempo, Morel, Versus.
Nota di Renato Fiorito
Sin dai primi versi,
“Inventario per il macellaio” (Interno Poesia) ci immerge nell’atmosfera
familiare delle piccole cose, nei ricordi del paese, nella nostalgia degli
affetti quotidiani: la madre che taglia le verdure, le preghiere sussurrate, le
esili speranze, l’uomo che in piazza beve il
cielo.
Ricordi che Nicola Grato
tiene vivi, evitando che si impolverino, perdano colore, appassiscano come rosa
tra le pagine di un libro. Il suo raccontare ha sonorità e temi da ballata
popolare, parla ad esempio della fabbrica di mobili in cui lavorava il padre,
dei pali eolici piantati nel paesaggio, della vecchia che per tristezza si
ubriaca di amaro Averna perché “non abbiamo che il cuore e fa freddo se
siamo soli” (pag.44)
Cose che sembrano
trascurabili ma che connotano un senso di appartenenza senza il quale il poeta smarrirebbe la parte emotiva della sua identità.
Tuttavia nella
irrimediabile dissolvenza che il tempo genera, cose, persone, affetti tendono a
sbiadire, lasciando solo vecchie foto, i fantasmi di coloro che ci fecero compagnia,
tracce di cose perdute e che un giorno amammo.
Scrive il poeta: “la
vita vola, un fiato solamente, la promessa di un marinaio partito per
sempre.” (pag.17), e più avanti: “il tuo archivio di
morti incorniciati da sempre sul muro, la luce scura dietro l’altarino di san
Giuseppe.”(pag.19), e anche: “pietà per le cose perdute e per la luce
sul mare della luna maliarda, per la savoiarda zuppa di caffellatte che hai
lasciato affogare nella tazza; pietà per la terrazza ora sola e colma di cenere
e sale,” (pag.25).
Poesia minimalista, dunque, intima, colloquiale, un registro privato che coinvolge il lettore e fa pensare alla poetica di Patrizia Cavalli, “Addosso al viso mi cadono le notti/ e anche i giorni mi cadono sul viso./ Io li vedo come si accavallano/ formando geografie disordinate:/ il loro peso non è sempre uguale,…” (da Il cielo Poesie 1974-1992 Einaudi) o a quella di Vivianne Lamarque “Con Lei camminerei/ tra l’erica del mio vaso/ millimetri e millimetri di cammino/ microscopico bosco/ io a Lei vicino.” (da “Poesie dando del lei” (Garzanti, 1989)
Similmente Nicola Grato dissoda la terra
del suo giardino, porta alla luce le antiche radici, non importa se a volte tragiche, scure, come la luce dietro l’altare di San Giuseppe o se le persone non
hanno storie rassicuranti da raccontare, bastano i loro gesti semplici, i
ricordi che affiorano e la magia dei versi. È troppo poco per sapere di una
vita? Forse si, ma di queste piccole cose è fatto un paese, quando il tempo passa e la casa si svuota, non resistendo alla malinconia della resa: “L’ora
dell’addio è ora/ – è qui, in questa luce bassa,/ in questo vento di mare che
fa/ della casa voliera di memorie.” (pag.29)
È dunque “il tempo” il
filo conduttore della raccolta, i giorni che trascorrono insieme alla
vita: “…Ma lo sai che domani sarà tutto finito?...” pag50, e
più avanti: “due foglietti bianchi/ col numero dieci/ e undici sono/
caduti dal calendario;/”…(pag.52)
Eppure non mancano momenti di ribellione, l’invettiva feroce quando una miseranda realtà fatta di consumismo e apparenza uccide la possibilità di bellezza, di armonia e di sincerità a cui il poeta tende:
“…ricerco nella fatica,
nel dolore/ che viene dall’assenza di parole,/ o dall’uso smodato, furbo,
accattone/ di talune – e sono coltellate,/ tiri gaglioffi, bandiere al vento
del niente/ imbecille e senza scopo./ Lo sai, saranno crociere a Marrakech,/
voli intercontinentali a Dubai/ e disprezzo per il bene del giorno,/ e per la
vita tutta – col rancore/ del borghese sazio, della dama/ di compagnia dietro
ai vetri sporchi/ dei suoi desideri …” (pag.67)
Subentra allora la stanchezza,
il desiderio di abbandonare l’animo al conforto della sera, poiché, come dice
la già citata Patrizia Cavalli: “L’amore stanco/ forse è l’unico
perfetto.” (da “Datura” 2013 Einaudi)
“caro Rocco,/
tutte abbiamo cantato le canzoni/ non ci resta che un paese di lune/ sepolte e
balconi di sonno folto/ – mentre fanno ressa dei ragazzetti;/ ma c’è un’ora in
cui posa/ ogni cura, s’acquieta/ il cuore e la terra/ sa di sole stanco/ –
un’ora sospesa a un filo di ragno,/ l’ora di lontane campane,/ l’ora leggera.”
Una bella raccolta
questa di Nicola Grato, che segnalo volentieri all’attenzione dei lettori,
perché il giardino della poesia ha tante voci e quella di Nicola non è certo
trascurabile.
https://www.ibs.it/libri/autori/nicola-grato
“cosa conta essere
di una casa?
Le piante, i monili, i
vestiti
di tuo padre, di tua
madre
– i calendari del buon
tempo
gli annali di tempeste;
cosa conta
essere di un luogo,
essere aria
di mare, tempo di
guerra e di minestra
se ti recheranno dove
non sai?
Eppure la vita ci lusinga
ancora:
un fiore dalla neve, un
sospiro
di vento caldo, lontano
lontano
l’odore del mare.
***
alleviare di poco la
tua pena,
l’angoscia dell’ora che
passa
e dell’abisso che
viene;
un sorriso di quiete e
riposo
come quello che hanno i
bambini
nel sonno sperare di
vedere
sulla tua faccia glabra
una
gioia nella tua voce
come
quando preparavi il
caffè nel primo
mattino e ci chiamavi
al risveglio.
Alleviarti di poco il
dolore,
ricordare la gioia,
solo la gioia d’averti
conosciuto, e non il
gesto di saluto
alla casa in campagna e
a tutte le cose,
come chi parte senza
biglietto di ritorno.
Solo la gioia, solo la
gioia,
non le mani malferme
che fallivano
il taglio un tempo
sicuro
della ficodindia, o gli
occhi tuoi
puntati altrove, chissà
dove...
***
la cornacchia vola
bassa sul campo
ghiacciato nel primo
mattino: grigio
di nubi vaporose
l’orizzonte.
La vecchia è morta
sola, ha lasciato
una figlia che sente
troppo il tempo
che però in quella casa
pare fermo.
La casa del cantoniere
è piena di foto,
fiori finti, cartigli,
buste aperte
e lui prega sul
calendario vuoto
di giorni e di mesi
perché sbiadito
come il muro della
chiesa abbattuta
fatto d’azolo e pietre
che dicevano
le storie alle donne,
tanti anni fa…
Poi il mulino e il
fiume interrato,
il tempo passato, le
ore sole:
anche se il fiume è un
ruscello che sta
sottoterra fa danno,
come tarma
rosica case, pietre,
assi, travi:
risalirà in superficie
e sarà
finimondo nel mondo.
***
l’uomo paese ha il
passo
delle domeniche, sta
in piazza e beve il
cielo,
e pare alzarsi in volo
quando
suona la campana di
messa.
È un lenzuolo steso
in un vicolo, è il
fiato
fresco delle chiese al
pomeriggio,
è una fontanella
d’acqua
buona, siamo noi
che guardiamo l’estate
alle soglie, la Brigna
verde,
il fico che ha messo le
foglie.
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