giovedì 16 ottobre 2025

Maria Teresa Coppola

 

Maria Teresa Coppola - Ragionare d'amore



Maria Teresa Coppola è di origine salentina ma vive e lavora a Pisa.  La poesia le è familiare sin da piccola, grazie a poeti e artisti che frequentano la sua casa, come Girolamo Comi, fondatore dell’Accademia Salentina, Alfonso Gatto, Diego Valeri, Arturo Onofri, Oreste Macrì, Vincenzo Ciardo e, più tardi, il poeta e critico d’arte Raffaele Carrieri.

Esordisce nel 2023 con la raccolta poetica Sottovoce - Edizioni Helicon, con cui vince il Premio speciale della giuria al Premio Casentino 2023, per la raffinatezza e i toni delicati dei versi. Nello stesso anno pubblica la silloge  C'è di più (Aletti editore), dove si dimostra capace di vibrante e limpida poesia in un colloquio serrato con l’amato, che lentamente però sembra trasformarsi in un colloquio intimo tra un "Io" consapevole e razionale e un "Es" più oscuro e misterioso. Con questo secondo libro Maria Teresa si classifica seconda al Premio Caravaggio. Nel 2025, pubblicato da Helicon, esce Cielo abbastanza, in cui esprime la sua natura poetica all'interno di un rapporto conflittuale tra memoria, coscienza e sentimento.  Infine nel 2025 pubblica con Puntoacapo questo Ragioniamo d'amore, del quale si parlerà in questa nota.



Ragionare d’amore - Puntoacapo 2025

 

“Ragionare d’amore” è una raccolta di poesie che Maria Teresa Coppola ha costruito con amore e sapienza letteraria, rivelandosi poetessa di spessore e grande profondità. La bella prefazione di Ivano Mugnaini ne coglie i punti essenziali, essendo, a differenza di altre, non un inutile orpello che si può saltare senza danno, ma una guida utile ad apprezzare i molteplici significati delle “stanze” in cui è suddiviso il libro. Ma detta suddivisione è un assemblamento tematico niente affatto rigido, poiché tutte le poesie dialogano tra loro in forma libera ma unitaria, richiamandosi l’un l’altra in una struttura atemporale, contrassegnata, più che dagli eventi, dai pensieri e dalle nostalgie, dalle aspettative e dalle paure, in un dualismo di opposti che sono, insieme, pacificazione e inquietudine, speranza e sofferenza.

Nella poesia d’esordio l’autrice scrive che cento mani vorrebbe, e cento occhi, e cento versi, tutto per amore, per cantare lui mentre si muta in ricordo, ed è questo che si ritrova effettivamente nel libro: le cento mani dell’amore, i cento occhi della conoscenza, i cento versi della poesia, e il rimpianto, la malinconia e il ricordo per qualcuno che si  allontana o qualcosa che si perde. Suggestioni, flash, versi su cui tornare e poi ritornare per coglierne il non detto, sentirne il sapore ambiguo e contraddittorio, scoprire l’odore di stanze, di pelle e di allegria marina, per usare le parole di un suo verso.

Nella bellissima IV stanza dedicata agli alberi, ai fiori e alle altre creature, si ritrova l’amore per il creato, che è identificazione, canto, stupore. Per prima cosa gli alberi, nella loro armonica connessione con gli altri elementi della natura, per la pioggia che assorbono, restituendola come linfa vitale risalente fino alle foglie, per il calore del sole che trasformano in promesse di verde che risanano la terra in un’unica connessione cosmica.

Per esprimere tutto questo Maria Teresa evoca dalla mitologia egizia i nomi di Tefnut, dea dell’equilibrio cosmico, umida e feconda, e di Sekmet, forza femminile primordiale, ambivalente e misteriosa, che può infliggere e curare, signora della guerra e della distruzione, ma anche della guarigione e della medicina; dalla mitologia greca, Persefone, divinità anch’essa dalla doppia vita, dea degli inferi e, insieme,  della primavera, in un’ambiguità ossimorica che si ripresenta poi in tutta la raccolta, e il kakemono, dalla tradizione giapponese, come un cielo appeso alla parete a ispirare calma e riflessione.

E poi il mare, immaginato come fiore d’acqua, e i verdi prati da “ritessere con lenzuola di parole” (pag.86), e ancora il cielo, celebrato nelle sue stelle più luminose, Arturo, Sirio, Vega e nelle sue costellazioni, Cassiopea, che risplendono nonostante il buio portato da Erebo, figlio del Caos e fratello della Notte, come spazio oscuro tra la Terra e l’Inferno, affinché la luce delle stelle allontani la paura, prima che arrivi il sonno portato da Hypnos. (pag.89)

Poesia matura, dunque, con versi densi e ricchi di rimandi, allusioni mistiche e mitologiche, efficaci e insieme eccessivi, come deve essere l’amore e la passione erotizzante. 

La ricerca stilistica e la ricchezza di metafore rendono impegnativa la lettura, a volte a detrimento dell’immediatezza, poiché parlare d’amore è difficile senza diventare banali, specie quando si ama davvero e ci si sente vivi, anzi, traboccanti d’amore, ma parlarne con distacco è cosa triste e sostanzialmente impossibile.

Questa stretta via Maria Teresa Coppola la percorre con agile intelligenza e naturalezza, affilando il taglio della passione in una vasta cultura e nell’innata vocazione alla poesia che la rende capace di affascinare e sorprendere il lettore attento, grazie a un cuore inquieto, sempre alla ricerca della perfezione del canto, e la bellezza del verso: “C’è un posto dentro me…/dove mancano girasoli a indicarmi come tradurre la luce i sillabe tollerabili”

Nella terza stanza si parla invece dell’autunno, delle sue malinconie e le sue ombre e delle cento piccole cose, testimoni di abbandoni e invincibili solitudini, e, per contrasto, dei tanti “io” che la abitano e le danno coscienza di essere finalmente meno fragile, senza più paura di rompersi.

Ma il cuore della raccolta è nella seconda stanza, che lascio per ultima, perché in essa si parla direttamente di quell’amore che il titolo promette. Un amore carnale e, insieme, spirituale, con echi religiosi e mistici. Non a caso in un verso fondamentale viene richiamato il canto d’amore per eccellenza, quello antichissimo delle sacre scritture, il “Cantico dei cantici” dove si legge: “Il mio amato è per me e io per lui, egli pascola il gregge tra i gigli.” (pag. 26), col suo carico di bellezza che informa tutta la sezione, dove trionfa l’amore fisico e quello allegorico con la ricchezza immaginifica della grande poesia “…coglimi all’alba /prima che Hermes si svegli. / Non fermarti ai pistilli,/ inventa mani tenere ai petali/e dolci di marmellata” (pag.28) e un eros, addolcito e nobilitato dalla delicatezza di vesi ricchidi metafore: “…Il drago che abbruna in un giorno  /il bianco dei fiori grandi/ che puoi nuotarci dentro/ nella coppa di neve e cedro/ vertigine e nausea,/ ritmo fermo di ossigeno esausto, / che sfoglia l’uovo miracoloso,/ apparso appena ieri./ Sì poche ore Eros ci assiste.” (pag32). E in maniera più diretta e carnale: “Diventare per una volta, / noi/ sconfiggere la paura/ guarire la ferita/ sapere che la mia voce/ è la tua/ quando dice “ti amo”/ e incalza / “Non ti sento,/ amami più forte” (pag.33)

Insomma un libro da scoprire e che vale la pena leggere e conservare, per riassaporarlo poi più volte, in cui i versi sono collocati in un tempo “altro” dove i contorni sfumano nel sogno, nella nostalgia e nel disincanto di ciò che è andato perduto e nella aspettativa di ciò che potrà venire.

 

Renato Fiorito

 

Roma, 14 ottobre 2025




Poesie 


Cento mani vorrei 

per scalare la luce

il tuo corpo buio, 

slacciarti le scarpe

ed appenderle

al ramo più alto

dell’araucaria che buca,

riaprire la finestra

sul tuo volto,

i lembi riaccostare

del dialogo interrotto,

cucire il tempo strappato

che d’ora in ora ci allontana

in un istante

del respiro infinito.

Cento occhi vorrei

per guadarti oltre,

cristallino e incrollabile cuore,

statico-estatico furore

di leggerti tutto di nuovo,

come lavato di pioggia,

immobile fissarti

come lupo a preda

in conversazione di morte,

assolverti di rispetto

e volgerti le spalle.

Cento versi vorrei

In cui restare distesa

Insieme al tuo dolore,

catturare

l’eccedenza interna che resiste

al tuo muto mutarti in ricordo.

 

***

 

“Il mio amato è per me e io per lui”

E il mio amore è per sempre,

basta per due

anche quando non mi basto.

Non aver paura,

non aver mai paura di me.

So amarti anche da sola, anche

nei giorni che non mi puoi parlare

se non sai

a chi parlare d’amore.

La feluca o il brigantino

armerò nei pensieri  

per seguirlo.

“Egli pascola il gregge tra i gigli”

e io serbo per lui frutti

di mandragore profumate

e resto sigillo sul tuo braccio.

 

***

 

Non piangono gli alberi.

Quasi spogli ringraziano

L’umida cantilena

Della dea della pioggia,

i cori delle gocce,

premura di linfa delle radici

sacre di silenzi e presagi.

Risveglia Tefnut

archeologici strati

dove conserva intatto

il calore buono del sole,

dimentica il respiro di fuoco

di Sekmet

e culla promesse di verde,

risana gallerie di lombrichi.

Aprendo gli occhi

sugli occhi lavati del mattino,

ritorna lieve la nostalgia

di lacrime che più

non mi soccorrono.




 

 

 

 

 

 

 

 



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