Lorella De Bon è nata e lavora a Belluno. Si è
laureata in Storia all’Università Ca’ Foscari di Venezia ed è autrice di
poesie e romanzi. Oltre alla raccolta “Sospetto
di Vivere”, di cui qui riportiamo alcune liriche, ha curato la
pubblicazione di un’antologia poetica dedicata ad Alda Merini (autori vari) dal
titolo “Nata il 21 marzo. Un seme nella
terra, un fiore di poesia”, edita dall’Associazione Terre Sommerse di Roma,
con prefazione della stessa Merini (http://www.terresommerse.it/shop/index.php?productID=11),
e una
seconda antologia dal titolo “Volpe bellissima”, sempre dedicata ad Alda Merini,
disponibile sotto forma di e-book, nel sito L’Abile Traccia di Pietro Pancamo http://www.labileabile-traccia.com/rivista_000000.htm
Numerosi sono i riconoscimenti avuti da
Lorella per le sue poesie: tra questi tre primi premi ai
concorsi: “Lino Negri” (VIII edizione), “Alessio di Giovanni” (IX edizione) e “Dis’arte
2008” indetto dall’Università Ca’ Foscari di Venezia.
Ha inoltre scritto il romanzo “Delitti
% Diletti” (Melino e Nerella Edizioni) presentato nel 2010 alla Fiera del
giallo di Brescia.
Per seguire meglio l'attività di Lorella De Bon si può visitare il blog:
Sospetto di vivere”, edito da Albalibri editore, è una raccolta di poesie da gustare lentamente
e con amore. Lorella De Bon l'ha
scritta tra il 2004 ed il 2011, disegnando un diario "sui generis" in cui contano
non i fatti ma le segrete emozioni, le
piccole cose quotidiane: il buio che si riempie di colori, i grandi
parchi pieni di uccelli e di vecchi, le scarpe lasciate in un angolo (Infilo il piede in un rifugio sicuro: le tue
scarpe, quelle da lavoro, consumate di fatica e sigarette sempre accese, a
bruciare polmoni e pensieri nascosti tra le mani scure), le ferite inferte dagli anni, che non bastano però
a farla desistere dal coltivare la fragile pianta dell’amore, poiché, come lei dice, noi (siamo più di questa carne frantumata…).
Una poesia densa, dunque,
fatta di sentimenti che lentamente mutano,
di nostalgie per assenze struggenti, come quelle dell’uomo amato (E’ che a volte mi manchi anche se mi abiti
accanto) e del padre (sei silenzio
che fa scricchiolare i mobili come fosse ronzio d’insetti).
Speranze e
passioni di donna, immagini inattese e ardite che ne affollano l’immaginario e finiscono per pescare nel nostro stesso dolore, facendolo emergere con una sua nuova consapevolezza. Pensieri che penetrano nella carne come un pungolo. quando parlano di malattia e di vecchiaia o quando vanno giù giù fino al pensiero
della morte, guardata con malinconico distacco (di lassù la morte sembra lontana, una piccola ferita arida incapace di
muovere al pianto).
Così, senza nulla rivendicare,
Lorella si rinchiude nel guscio della sua casa, tra gli oggetti familiari, ritenendo che il dolore sia l’ineludibile
prezzo da pagare alla vita, ma con il desiderio struggente di una mano che riconosca la sua solitudine e la conforti (Tu, dentro la
mia casa hai costruito un’anima blu, ricoperta d’azulejos calde come terra di
Portogallo, come sogni che sbadigliano ai rami spogli del tiglio).
Ma le poesie più belle sono forse quelle in cui si affaccia l’amore, tenero, silenzioso, pudico, che si manifesta in piccoli gesti segreti o nel desiderio di vicinanza, coltivato con sottile malinconia, essendo allora che spesso, in un ultimo verso, un inatteso colpo d'ali ci aiuta a volare.
biancheria che sonnecchia in cucina,
là dove il sole s’appoggia e lascia
tracce d’estate. E a volte t’accarezzo
in assenza di pelle, perché gli occhi
stringono il vuoto come mani la
distanza tra cuscini stropicciati. È
che a volte non riesco a dire. Non
riesco. E mi basta l’ascolto, il volto
appoggiato a un vetro per sentire
che non esisto tranne il respiro, il
fiato corto sulle spalle. Mi basti tu e
l’attimo dopo ti cerco come non fossi
mai stato, come ti fossi appoggiato
un istante al balcone ad osservare il
prato. Basti tu, eppure ti cerco
ancora. E ancora mi emozioni
quando cammini offrendomi la
schiena che stringo al petto ogni
notte, ogni istante della mia vita in
assenza di te. Sussurrami parole tra
i capelli e sfogliami la pelle. Sussurra
e fai di me l’unico libro che leggerai.
Che sia tu il tempo a vestirmi di
rughe, a vestirmi e spogliarmi nel
tempo che passa e ci dimentica.
E vorrei essere io il verbo
Vorrei esserti rosario tra le mani
Che sia misura delle tue distanze
“È un gioco senza alcun
divertimento
Tu il tempo a
vestirmi di rughe
È
che a volte mi manchi anche se mi
abiti accanto, a pochi centimetri dalla
abiti accanto, a pochi centimetri dalla
biancheria che sonnecchia in cucina,
là dove il sole s’appoggia e lascia
tracce d’estate. E a volte t’accarezzo
in assenza di pelle, perché gli occhi
stringono il vuoto come mani la
distanza tra cuscini stropicciati. È
che a volte non riesco a dire. Non
riesco. E mi basta l’ascolto, il volto
appoggiato a un vetro per sentire
che non esisto tranne il respiro, il
fiato corto sulle spalle. Mi basti tu e
l’attimo dopo ti cerco come non fossi
mai stato, come ti fossi appoggiato
un istante al balcone ad osservare il
prato. Basti tu, eppure ti cerco
ancora. E ancora mi emozioni
quando cammini offrendomi la
schiena che stringo al petto ogni
notte, ogni istante della mia vita in
assenza di te. Sussurrami parole tra
i capelli e sfogliami la pelle. Sussurra
e fai di me l’unico libro che leggerai.
Che sia tu il tempo a vestirmi di
rughe, a vestirmi e spogliarmi nel
tempo che passa e ci dimentica.
UN LUNGO VIAGGIO
a mio
padre
Se come da un lungo viaggio
tu tornassi adesso
coi piedi di sabbia calda,
vedresti che poco è mutato:
un piccolo cane che corre sul
prato,
un osso e una palla,
un altro filo di tristezza
attorno al mio collo,
un graffio nell’occhio
a impedirmi di notare la tua
assenza.
Sei silenzio che fa
scricchiolare i mobili
come fosse ronzio d’insetti,
sciame d’api di ritorno
all’alveare.
CHE SIA MISURA DELLE TUE DISTANZE
È un gioco al massacro
quest’alternanza
di pieno e di vuoto,
è il gusto delle tue parole a
riempirmi
la bocca di fiato.
E vorrei essere io il verbo
che non si pronuncia,
in bilico tra i perché
e le cose già dette, così,
per restarti a fior di labbra
come il più caro dei segreti.
Vorrei esserti rosario tra le mani
socchiuse, vespro a toccarti la
lingua
di promesse, croce senza
delizia
e destino fragile avvolto al
pollice.
Che sia misura delle tue distanze
e dei tuoi ritorni, dei tuoi
occhi volati
via a visitarmi l’anima di
notte,
quando le farfalle declinano il
volo
ed io reclino il capo e
farfalla divento
per te, che sussurrando dici:
questo starci lontani,
è anoressia d’amore a nutrirmi
nei giorni magri a venire.”
UNA PICCOLA FERITA ARIDA
Se
oltrepassare la morte significasse
riallacciare
i legami di sangue più
densi,
la vita sarebbe cosa leggera,
quasi
frivola. È un’ipotesi azzardata,
questa,
che lancio sul tavolo della
notte
quando l’altrui giudizio si
sospende
e resto sola, a render conto
dei
pensieri alla luna e, forse, ai
fantasmi
nascosti fra le stelle. Nel
bosco
la vita s’acquieta, non muore
mai,
si rinnova a ogni squarcio di
nuvole,
alla fuga dei caprioli in branco,
al
passaggio d’un cercatore di funghi.
Accoccolata
a terra, per un attimo
sfioro
la mia ombra con la mano. Poi,
il
vento la solleva e l’accompagna al
viso,
dove una lacrima s’aggrappa
come
rododendro alla roccia. Di lassù
la
morte sembra essere lontana, una
piccola
ferita arida incapace di
muovere
al pianto.
Lorella De Bon la trovo davvero brava, con le sue riflessioni escatologiche sulla morte, piane e tranquille, sul rapporto d'amore e su ciò che di caro si è perso nel corso della vita.
RispondiEliminaAntonella Placidi