Monica
Maggi, è una libraia molto particolare. La si può incontrare nella sua
libreria-caffè letterario “Libra”, in Via San Michele a Morlupo (Roma) dove
anima, tra l’altro, l'associazione LibrAria, appendice operativa degli eventi
artistici della libreria. Ma le sue attività sono davvero molteplici, a
testimonianza della vivacità e dello spessore culturale del personaggio. Giornalista
e scrittrice, è docente all’Università Roma Tre dove conduce un laboratorio di
giornalismo e scrittura, e all'Upter, dove tiene corsi di writing coaching,
giornalismo e comunicazione integrata. Ha collaborato con giornali e riviste (Il
Messaggero, Vitality, Happy WEB, Capital, For Men Magazine) e tenuto rubriche
di attualità su Grazia, Linus, Per Me, Bella, Di Tutto, Geo, l’Espresso. Nel
settore radiotelevisivo ha lavorato per TeleMontecarlo in “Gente sull’orlo di
una crisi di nervi”, per Italia1, nelle due edizioni di “Cronache Marziane” e per
Stream in “Sex Selen e videotape”. Per Radio Capital ha scritto e condotto
“Capital Hot Line”, striscia pomeridiana sull’eros. E’, infine, fondatrice dell'Associazione
Donne di Carta: sua la cura dell’antologia poetica di versi femminili Ti bacio in bocca del 2004.
Ma
Monica è per me soprattutto una poetessa dalla scabra intensità. Quando ho
letto la sua raccolta “Calco”, che qui propongo, non sapevo niente di lei. Mi aveva
colpito tuttavia la ruvidezza del verso, il pudore del
dolore appena confessato e ho deciso allora di contattarla per congratularmi. Ho
saputo così delle sue tante attività e di un'altra raccolta di poesie "La mia pelle e’ un cifrario", pubblicata nel 2003 con l’editore Lietocolle e inserita poi nello spettacolo Soffiando
via i capelli dalle labbra, rappresentato nel 2006 al Teatro dell’Orologio
di Roma dall’Accademia del Dubbio.
Le
poesie di Monica Maggi sono intense, essenziali, senza fronzoli, con dentro il
pudore delle parole, come di chi le sente consunte, abusate, e le usa perciò con
parsimonia, quasi con rispetto. Tutto è ridotto all’essenziale: l’amore, il
rimpianto, “…la solitudine che si fa
verso, gli altri che si fanno parole”. Improvvisi lampi, inaspettati e mai
banali rischiarano il verso, come un temporale che si guarda dalla finestra (L’amore è deflagrazione, smembramento,
riunificazione..) che dà, insieme all’attrazione per uno sconvolgimento che
potrebbe essere il nostro, il piacere di esserne al riparo.
Io
scrivo.
Impasto il rigurgito
il queste
scaglie
frammenti
calati a picco
innestati nell’anima.
La solitudine
che si fa verso
gli altri che si fanno parole.
° ° ° °
Come trasloca l’anima mia
quando ti guardo!
Mi stacca in volo sopra le nuvole
raggiunge frutti acerbi d’infanzia
avvolge i profumi di me
mi offre provvida regali non scartati.
Ancora senza fine
il film mai terminato
e corse per scale materne
dietro
ad una scia di sapore.
Questo, quando trasloca l’anima
che non si porta bagagli ma voci
carezze occhi e binari di ricordi.
° ° ° ° °
Ho quasi cinquant’anni.
La bellezza se c’era
se n’è andata ironica
lasciando particelle odorose
spruzzate dovunque
la vita fa padrona di casa
inquieta e metodica.
Da lei trasloco
con sempre meno bagaglio.
°
° ° °
È un fagotto la vita, ci butto dentro le cose
alla rinfusa
magicamente si riordinano
e si compongono
come
un gioco di pazienza.
Le stagioni sono quadri
di una parete che mai
è la stessa
di una casa che mi porto appresso
come raro animale lento.
° ° ° °
La gente ha gli occhi tristi.
Di cosa si è riempito il mondo
se non c’è nulla
che colmi il cuore.
La gente ha gli occhi tristi. Ecco quello che sa vedere un poeta. Senza disperare però. Con sapienza e comprensione.
RispondiEliminaVera D'Atri