mercoledì 15 maggio 2019

Silvia Rosa






Silvia Rosa è nata a Torino, dove vive e insegna. Le piace girare per le strade della città, visitare mostre e musei, fermarsi a volte nei bar storici del centro, al Caffè Fiorio o al Bar Platti, per un dolce o una cioccolata calda.

Laureata in Scienze dell'Educazione, cura per NiedernGasse la rubrica di costume e attualità "L'asterisco e la Margherita", firmandosi con il nome di Margherita M.  Fa anche parte della redazione dell'Annuario di Poesia Argoe del blog "Poesia del Nostro tempo", dove cura le rubriche "Confine donna: poesie e storie d'emigrazione" "Scaffale poesia: editori a confronto". Collabora con la testata giornalistica "Midnight Magazine", curando la rubrica  "Fuori banco: cronache dalla scuola degli ultimi".

È tra le ideatrici del progetto “Medicamenta-lingua di donna e altre scritture, in cui propone una serie di letture, eventi e laboratori rivolti a donne italiane e straniere, in un’ottica psicopedagogica e di genere. Collabora con il blog Margutte.

Ama l’Argentina e per questo ha scritto nel 2013 un saggio di storia contemporanea "Italiane d'Argentina. Storia e memorie di un secolo d'emigrazione al femminile (1860-1960)" - Ananke Edizioni, e ha dato vita al progetto "Italia Argentina ida y vuelta. Incontri poetici" pubblicato a puntate sulla rivista internazionale di poesia Iris News (2015), su Versante Ripido (2016/17) e  infine in ebook, scaricabile gratuitamente. Organizza eventi letterari e mostre di arti visive e presiede l'Associazione Culturale ART 10100.

Tra le raccolte di poesie, ricordiamo: Genealogia imperfetta (La Vita Felice);  SoloMinuscolaScrittura (con prefazione di Giorgio Bàrberi Squarotti, La Vita Felice),  Di sole voci  (LietoColle Editore);







il libro è acquistabile su tutte le piattaforme on-line 


Dico quello che sento: Silvia Rosa è una poetessa vera, una di quelle che non si lasciano leggere con indifferenza. Questa sua raccolta, Tempo di riserva, ha dentro il piacere sensuale di chi assapora un buon vino, scambia una carezza, guarda negli occhi l’amato; ha la struggente consapevolezza del tempo, il  legame fortissimo con la terra, l’ascolto assorto delle stagioni. Ti prende per mano con delicatezza e ti conduce in una terra gentile dove le immagini, le emozioni, le paure incontrano le tue e parlano la stessa lingua.
William S. Borruounghs, poeta della Beat Generetion, scrisse che bisogna essere sempre consapevoli che ogni parola evoca un’immagine.  Questo è  particolarmente vero nella poesia di Silvia Rosa: i suoi versi hanno forme, luci,  colori, radicati profondamente nell'anima; aprono varchi su una realtà trasfigurata, come finestra spalancata sui paesaggi d’infanzia, sulle persone amate, sul tempo trascorso, sicché a leggerli tutti si finisce col farsi trascinare dal loro senso di armonia, dalla capacità di commuovere e ricordare.

“…le rose fioriscono ancora/ nel giardino dei tuoi abbracci/ e restare o andarsene non vale/ il tempo inesatto non basta/ a fare notte silenziosa e tregua…/ (da “Quando torni” pag.40)


Un'affascinante girandola di metafore, di luci che si accendono, di soprassalti e ritorni, costringe il lettore alla lentezza, a tornare indietro per estrarre dalle parole il loro succo misterioso e immaginifico e riflettere su se stesso e la vita, e  stendere su di essa il conforto lieve delle parole.


La margherita mi sboccia in grembo/ è un piccolo bianco insetto/  tutto petali e memorie,/ vorace e crudele come la vita/ quando alza la voce./ (da “La margherita” pag.41)
      “Tempo di riserva” è dunque questo. Suddiviso in quattro capitoli  richiama le stagioni della vita, che però, curiosamente,  non iniziano con la primavera, ma con l’inverno. Se ci si domanda il perché di quest'ordine, una convincente spiegazione può trarsi dalla prefazione di Gabriella Montanari che, citando in esergo Rudolf Steiner, dice che sentirsi partecipi della natura non vuol dire essere in armonia con essa solo nel momento del germogliare, del crescere, del fiorire, ma anche nel momento del decadere e dell’appassire, poiché  nessuna primavera è possibile se non è preparata  dall’inverno, se, cioè,  non c'è la morte a dare spazio alla vita. 


Questa considerazione, suggerita dall’andamento temporale del libro, fa pensare che la raccolta abbia un senso circolare, che cioè le varie stagioni, non si perdano nel fluire eracliteo del tempo, ma trovino anzi nel suo trascorrere il loro più profondo significato.


D'altra parte se gli eventi si riducessero alla sola materialità, il loro senso andrebbe presto perso; ciò che li rende unici e preziosi è invece la loro eco nel sentire presente, l'intreccio delle nostalgie col pulsare quotidiano della vita.


Nulla dunque passa mai davvero. Per ogni emozione lo scrigno della vita predispone un momento di rielaborazione, di ripensamento, di trasfigurazione, cioè un “tempo di riserva”, che trasfigura le cose e ce le restituisce con accresciuta bellezza.  

In sogno la casa di mia nonna è identica/ in ogni dettaglio alla mia, il tempo è/ quello immobile dell’infanzia, quasi eterno, è estate, un cono di luce segna / la porzione di spazio che in gioco abito./ (da "Bambina di carta" pag.48)


Il “Tempo di riserva” di cui  Silvia Rosa  ci parla  è proprio questo: copre  tutto il tempo, diventa il granaio con cui sfamare la fame d'amore, insegna che la parte preziosa della vita non sta nelle cose che facciamo ma nel sentimento con cui le vestiamo. (Renato Fiorito)
 

CHE SPERPERO QUESTA QUOTIDIANITÀ

Che sperpero questa quotidianità 
svuotata di tenerezze, nudo 
sasso che ci rimbalza contro, sguardo 
d’orizzonte addomesticato asciutto

(e io che costruivo 
geometrie golose di parole 
per rendere meno scialbo 
il battito meccanico 
della lingua contro i denti, 
al modo dei bambini 
provavo il gioco ripetuto 
‒ serio ‒ di stringersi 
ancora e sempre come se 
non ci fosse un seguito)

che sperpero la morte bianca muta 
da un giorno all’altro identico di piccole 
lucciole di felicità intermittenti, schiacciate 
al buio di un tempo così distratto che 
persino la banalità del niente 
avrebbe forse un sapore meno gretto.



NATURA MORTA


Un altro giorno spremuto in fretta 
impastato intero ‒ un grumo ‒ 
dentro tutto il tempo del mondo, 
scolora appena fino alla linea curva 
del cuore, un’arancia d’inverno 
data in pasto alla noia, acida. 
Quel rosso che mi raggiunge sempre 
come un maledetto monito 
– non sprecare ancora le tue ore 
non buttarle via come chicchi 
di neve succhiati a metà – 
adesso è un tramonto oltre 
il vetro appannato di ombre: 
sul tavolo resta affilato 
il ricordo dell’alba, l’ennesima cui 
non ho dato peso abbastanza, 
per questa mia voglia di essere niente 
in pace, dimentico a volte che esistere 
è camminare sul bordo sbeccato 
dell’orizzonte, fuori da questa ovatta 
di nido appassito, ruvida quanto basta 
a perdere anche la pelle.


DITA DI MOLLICA

Ci sono giorni da rosicchiare 
come pane duro 
‒ dal bordo annerito dell’alba 
lungo la crosta delle assenze ‒ 
un boccone che raschia voce e 
lascia segno tra le palpebre, umide. 
Ci sono giorni come mattoncini 
freddi d’acqua, in questa nostra casa 
che ha l’eco del tuo odore e 
alle finestre tende candide di nuvola, 
che spiovono rigando guance 
dove hai lasciato briciole di baci 
e tra le labbra una promessa 
di lievito e di sale, il terrore autentico 
di perdersi fuori da una porta 
senza più cardini e dai tuoi pensieri 
chiusi a chiave, una serratura arrugginita e 
svuotate le mie mani, le dita di mollica 
da buttare ai pesci.


CON TUTTA LA MIA VOGLIA DI NON ESSERCI

Io non volevo questo tempo 
che mi divora i fianchi, in cui le ore 
impazzano al ritmo dei tuoi passi 
avanti e indietro, io non volevo 
il ponte degli incontri popolato 
di bellezza dove i nostri occhi 
si danno appuntamento e fanno 
festa prima di ogni abbraccio,

io non volevo questa bestia 
che chiamo desiderio farsi cucciolo 
e poi famelica sbranarmi, 
i pensieri sgretolati inconcludenti 
e il tuo nome al centro in prima fila, 
la statua ebete che sono 
quando ti osservo muoverti 
dentro la cruna dei miei silenzi 
‒ ancora è una preghiera ‒ 
io non volevo stomaco contratto 
battito da febbre il corpo che fa male 
rimodellarsi di creta sotto le tue mani,

io non la voglio questa attesa 
che mi precipita nel vuoto 
quando non ci sei e tutti i demoni 
della paura e dell’insicurezza 
mi ripetono in cerchio che sono persa, 
non ho più un alibi una scusa lo straccio 
di una resa senza condizioni,
con tutta la mia voglia di non esserci 
guarda come sono immobile, 
adesso, guardami rimpicciolita 
di una vita intera: sto tutta nel palmo 
della tua mano sinistra. Sii gentile, 
abbi cura di questo cuore 
che non ti vuole appartenere

e ti appartiene, nonostante tutto.


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