Marzia Spinelli – Trincea di nuvole e d’ombra. -Marco Saya
Edizioni 2019
Marzia Spinelli, poetessa romana, è stata
tra i fondatori della rivista Línfera,
per la cui attività ha ricevuto il Premio Spoleto FestivalArt 2014, e nella
redazione della rivista Fiori del male.
Ha collaborato ad altre riviste di arte e letteratura tra cui Omero, La Bottega
del restauro, Frontiera (supplemento a Gli immediati dintorni). È presente in
varie antologie. Suoi testi poetici sono stati commentati su riviste di critica
letteraria quali Puntoacapo, Pagine, Studi cattolici, Noi donne
e su alcuni blog letterari.
Ha curato rassegne di poesia presso
la Federazione Unitaria Italiana Scrittori e il Comune di Roma. Nel 2013 ha
partecipato come autrice a Ritratti di poesia.
Ha pubblicato le raccolte:
Fare e disfare (Lietocolle Editore,
2009, nota introduttiva di Guido Oldani), Nelle
tue stanze (Progetto Cultura editore, collana Le Gemme, 2012, prefazione di
Alberto Toni), nel 2014 l’ e- book Nel
cielo dell’altro un po’ più ampio a cura di La Recherche Poesia condivisa 2.0., prefazione di
Mario Melendez; Trincea di nuvole e d’ombre (Marco Saya Editore, 2019,
prefazione di Plinio Perilli).
Nota critica di Renato Fiorito
Cosa vuol dire sentirsi in trincea avendo con sé l’unica arma della poesia? E se la trincea è fatta di nuvole e d’ombre si tratta solo di una suggestione letteraria, di un cedere all’armonia dei suoni o vi sono argomenti e sostanza a sostegno di questo bel titolo di Marzia Spinelli?
A leggere “Trincea di nuvole e d’ombra” si fa
presto a scoprire che Marzia ha preso molto sul serio il suo dettato. Nelle
sezioni del libro si trova infatti tutto quanto il titolo promette: c’è la
trincea d’ombra, quella dei combattimenti quotidiani, la trincea degli ospedali
e quella della parola e della poesia. E ci sono infine le nuvole osservate al
periscopio, esaminate nella loro misteriosa lingua, nella loro evanescenza. E c’è
infine la “tregua”, la scoperta di una transitoria pace, l’aurora innevata, la
resa del corpo alla panchina di sole e il vento che muove le nuvole.
Ma perché questa terminologia di guerra? Qual è la battaglia che
Marzia Spinelli combatte dalla propria trincea, e a cosa deve resistere, con
quali armi e con quali speranze di vittoria?
Una prima risposta sta nelle nuvole, proiezioni di una vita
inafferrabile, in perenne divenire, cangiante e azzurra, grigia e colorata, in
cui ci immaginiamo eterni e dove invece siamo fantasmi che passano presto,
anche se vorrebbero durare. Per questo cambiamo, ci mascheriamo, ci impastiamo
di luce e di ombre.
L’ombra è protagonista della silloge, “sagoma muta, fedele”
che sopravvive alla trincea dell’io (pag 27), a dire che la nostra sostanza è
ombra e l’ombra è sostanza, che siamo fatti così, che l’oscurità che temiamo,
che combattiamo, di cui diffidiamo e di cui abbiamo paura siamo noi stessi, è
dentro di noi, siamo noi.
“Potrei vincere cancellandomi/ e lei con me. Rinnegarli
tutti/ i fantasmi” scrive Marzia (pag.28) Dunque vittoria impossibile o
vittoria certa, se si accetta l’ambiguità del vivere, l’inganno di eternità, l’ombra
come unica verità ontologica.
Da Alpha e Omega tutto si trasforma, mentre il mondo sembra abbracciarci
già ci sta abbandonando. Per questo inventiamo trucchi, distrazioni, resistiamo
all’inevitabile per costruirci illusioni di continuità e sicurezza, e creare case che
non sono nostre ma che tengono lontani tempo e stagioni.
Il corpo, dimentico all’angolo della storia, all’angolo di tutte
le storie, vive su un confine incustodito e lontano, via da un presente in cui è
straniero anche il pianto (pag.31)
Affondati nella trincea del quotidiano ci chiediamo dove stiamo
andando, domanda che è di tutti e che non ha risposta, idea folle che qualcosa ci
sia che ci sopravvive, che possa salvarci dalla dimenticanza e ci dia pace
(pag35). Le ombre che ci avvolgono e si muovono dentro, sono infatti destinate
a prevalere, a prendersi tutto lo spazio. Tuttavia, nel frattempo si possono
raccogliere piccoli segnali di tregua, come è il colore dei ciclamini, colore
che resiste alla polvere e reiventa la vita. E a questa fragile tregua possiamo
abbandonare il cuore. “…sboccia dai ciclamini l’impalpabile tregua,/ a
resistere alla polvere, all’inverno, indomita/ l’anima.” (pag. 36)
Dunque canto pensoso questo di Marzia Spinelli, che ci immette nel
grande alveo della poesia dove si affronta il tema dei temi, quello del significato
dell’esistenza, su cui poeti e filosofi si cimentano da millenni in ogni parte
del mondo: la realtà e la sua immagine, la luce e l’ombra. In proposito il
poeta francese Raymond Queneau in una poesia dice: “…ombra è l’ombra di
sempre/ ombra è ogni essere che fugge“ da (Poesia francese del
novecento (Bompiani, 1985), e il poeta russo di fine 900 Viktor
Krivulin magnificamente scrive: “La
nostra causa è cercare e non trovare/ La nostra causa è amare, fugaci, in
segreto ” e poco più avanti: “Il nostro tempo è nebbia d’autunno sul fiume,/ È
il nostro nome eliso dalla nostra mano,/ Perché di notte non ci restano che/ Il
dubbio, la coscienza e la neve”. (Concerto a richiesta e altre poesie
(Passigli 2016)
Del resto cosa sarebbe la poesia se non ci ponesse di fronte all’inesplicabile mistero della vita, alla struggente vacuità delle cose, se non desse voce all’indicibile, allo smarrimento del cuore, alla speranza che non ha speranze. Davanti alla sconfitta immancabile, alla perdita di tutto, si alza la resistenza del verso, la bellezza e la struggente malinconia del canto, l’eroismo della lotta senza speranza di vittoria e l’impalpabile tregua del ciclamino che, secondo la bella immagine di Marzia, si ribella al grigio, alla polvere, all’inverno. (Renato Fiorito)
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Le ombre in trincea sotto
nubi
dalle mutevoli forme: le
guardano
a tratti, quale presagio
di quel che accade
a terra
dove scorrono fiumi
e tutto sgorga
dall’acqua,
dove colano scorie
ingannevoli anche del cielo.
Dove tutto stagna.
Zampilla.
E passa.
°°°
Di questa vita in divenire
cangiante e azzurra.
Orma felina
e tartaruga, sempre
compagna quest’ombra
distesa, a terra stremata
che rialza,
quanto consapevoli? quanto
fermi
in un confine, là in un
sorpreso silenzio.
L’urto pungola, incede
nel sogno.
Là dove pare vinca la
notte
è il giorno, l’ignoto
giorno a continuare.
E noi duriamo, come
fantasmi.
°°°
Tace la piccola trincea
di scrivanie,
ma smuove ore e mattini
e ingrossa un giorno
improvvisa,
come onde del mare in
tempesta
senza spuma
il sole smeriglia fiori e
piante
come fosse ancora da
nutrire un seme
necessario, oltre lo spreco
di carta e vita
che s’ammucchia
oltre il limo che sale ad
ogni fine estate
sboccia dai ciclamini
l’impalpabile tregua,
a resistere alla polvere,
all’inverno, indomita
l’anima.
°°°
alla panchina di sole
ci siamo arresi
un giorno qualunque
come arrendersi a un dolce morire
in piena luce.
gli occhi chiusi nel
bagliore,
raggio che traversa la
mia
e le altre accanto,
simili e diverse,
per quella pace e luce
riverse
su l’angolo di legno, sul
ferro arrugginito.
Per tirar via le maschere
e il grigiore della
pelle,
per un nitore del
pensiero
e una forza nel cuore,
agili corde
all’intemperie.
Anche la carezza del sole
è una parola.
Seduti alle panchine
angoli di vita e
sogni.
Chi sente il peso del
Tempo,
chi l’occhio vigile di
Dio.
Il vento muove la nuvola,
come Destino la inclina
su ogni panchina,
come ombra di passaggio.
Forse la vedono tutti,
sagoma in chiaroscuro,
spirito che sorride in
lontananza.
°°°
La Poesia è un vento,
si spande sulla terra e
la solleva.
Mette radici passo a
passo.
E tra peso e aria
fingiamo l’eternità.
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