venerdì 2 ottobre 2020

Marzia Spinelli

 

Marzia Spinelli – Trincea di nuvole e d’ombra. -Marco Saya Edizioni 2019 



Marzia Spinelli, poetessa romana, è stata tra i fondatori della rivista Línfera, per la cui attività ha ricevuto il Premio Spoleto FestivalArt 2014, e nella redazione della rivista Fiori del male. Ha collaborato ad altre riviste di arte e letteratura tra cui Omero, La Bottega del restauro, Frontiera (supplemento a Gli immediati dintorni). È presente in varie antologie. Suoi testi poetici sono stati commentati su riviste di critica letteraria quali Puntoacapo, Pagine, Studi cattolici, Noi donne e su alcuni blog letterari.

Ha curato rassegne di poesia presso la Federazione Unitaria Italiana Scrittori e il Comune di Roma. Nel 2013 ha partecipato come autrice a Ritratti di poesia.

Ha pubblicato le raccolte: Fare e disfare (Lietocolle Editore, 2009, nota introduttiva di Guido Oldani), Nelle tue stanze (Progetto Cultura editore, collana Le Gemme, 2012, prefazione di Alberto Toni), nel 2014 l’ e- book Nel cielo dell’altro un po’ più ampio a cura di La Recherche Poesia condivisa 2.0., prefazione di Mario Melendez; Trincea di nuvole e d’ombre (Marco Saya Editore, 2019, prefazione di Plinio Perilli). 


 Nota critica di Renato Fiorito

Cosa vuol dire sentirsi in trincea avendo con sé l’unica arma della poesia? E se la trincea è fatta di nuvole e d’ombre si tratta solo di una suggestione letteraria, di un cedere all’armonia dei suoni o vi sono argomenti e sostanza a sostegno di questo bel titolo di Marzia Spinelli?

A leggere “Trincea di nuvole e d’ombra” si fa presto a scoprire che Marzia ha preso molto sul serio il suo dettato. Nelle sezioni del libro si trova infatti tutto quanto il titolo promette: c’è la trincea d’ombra, quella dei combattimenti quotidiani, la trincea degli ospedali e quella della parola e della poesia. E ci sono infine le nuvole osservate al periscopio, esaminate nella loro misteriosa lingua, nella loro evanescenza. E c’è infine la “tregua”, la scoperta di una transitoria pace, l’aurora innevata, la resa del corpo alla panchina di sole e il vento che muove le nuvole.

Ma perché questa terminologia di guerra? Qual è la battaglia che Marzia Spinelli combatte dalla propria trincea, e a cosa deve resistere, con quali armi e con quali speranze di vittoria?

Una prima risposta sta nelle nuvole, proiezioni di una vita inafferrabile, in perenne divenire, cangiante e azzurra, grigia e colorata, in cui ci immaginiamo eterni e dove invece siamo fantasmi che passano presto, anche se vorrebbero durare. Per questo cambiamo, ci mascheriamo, ci impastiamo di luce e di ombre.

L’ombra è protagonista della silloge, “sagoma muta, fedele” che sopravvive alla trincea dell’io (pag 27), a dire che la nostra sostanza è ombra e l’ombra è sostanza, che siamo fatti così, che l’oscurità che temiamo, che combattiamo, di cui diffidiamo e di cui abbiamo paura siamo noi stessi, è dentro di noi, siamo noi.

Potrei vincere cancellandomi/ e lei con me. Rinnegarli tutti/ i fantasmi” scrive Marzia (pag.28) Dunque vittoria impossibile o vittoria certa, se si accetta l’ambiguità del vivere, l’inganno di eternità, l’ombra come unica verità ontologica.

Da Alpha e Omega tutto si trasforma, mentre il mondo sembra abbracciarci già ci sta abbandonando. Per questo inventiamo trucchi, distrazioni, resistiamo all’inevitabile per costruirci illusioni di continuità e sicurezza, e creare case che non sono nostre ma che tengono lontani tempo e stagioni.

Il corpo, dimentico all’angolo della storia, all’angolo di tutte le storie, vive su un confine incustodito e lontano, via da un presente in cui è straniero anche il pianto (pag.31)

Affondati nella trincea del quotidiano ci chiediamo dove stiamo andando, domanda che è di tutti e che non ha risposta, idea folle che qualcosa ci sia che ci sopravvive, che possa salvarci dalla dimenticanza e ci dia pace (pag35). Le ombre che ci avvolgono e si muovono dentro, sono infatti destinate a prevalere, a prendersi tutto lo spazio. Tuttavia, nel frattempo si possono raccogliere piccoli segnali di tregua, come è il colore dei ciclamini, colore che resiste alla polvere e reiventa la vita. E a questa fragile tregua possiamo abbandonare il cuore. “…sboccia dai ciclamini l’impalpabile tregua,/ a resistere alla polvere, all’inverno, indomita/ l’anima.” (pag. 36)

Dunque canto pensoso questo di Marzia Spinelli, che ci immette nel grande alveo della poesia dove si affronta il tema dei temi, quello del significato dell’esistenza, su cui poeti e filosofi si cimentano da millenni in ogni parte del mondo: la realtà e la sua immagine, la luce e l’ombra. In proposito il poeta francese Raymond Queneau in una poesia dice: “…ombra è l’ombra di sempre/ ombra è ogni essere che fugge“ da (Poesia francese del novecento (Bompiani, 1985), e il poeta russo di fine 900 Viktor Krivulin  magnificamente scrive: “La nostra causa è cercare e non trovare/ La nostra causa è amare, fugaci, in segreto ” e poco più avanti: “Il nostro tempo è nebbia d’autunno sul fiume,/ È il nostro nome eliso dalla nostra mano,/ Perché di notte non ci restano che/ Il dubbio, la coscienza e la neve”. (Concerto a richiesta e altre poesie (Passigli 2016)

Del resto cosa sarebbe la poesia se non ci ponesse di fronte all’inesplicabile mistero della vita, alla struggente vacuità delle cose, se non desse voce all’indicibile, allo smarrimento del cuore, alla speranza che non ha speranze. Davanti alla sconfitta immancabile, alla perdita di tutto, si alza la resistenza del verso, la bellezza e la struggente malinconia del canto, l’eroismo della lotta senza speranza di vittoria e l’impalpabile tregua del ciclamino che, secondo la bella immagine di Marzia, si ribella al grigio, alla polvere, all’inverno.  (Renato Fiorito)

 


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Le ombre in trincea sotto nubi 

dalle mutevoli forme: le guardano

a tratti, quale presagio di quel che accade

a terra


dove scorrono fiumi

e tutto sgorga dall’acqua,

dove colano scorie

ingannevoli anche del cielo.

 

Dove tutto stagna. Zampilla.

E passa.


              °°°


 Di questa vita in divenire

cangiante e azzurra. Orma felina

e tartaruga, sempre compagna quest’ombra

distesa, a terra stremata che rialza,

quanto consapevoli? quanto fermi

in un confine, là in un sorpreso silenzio.

 

L’urto pungola, incede nel sogno.

Là dove pare vinca la notte

è il giorno, l’ignoto giorno a continuare.

E noi duriamo, come fantasmi.


°°°


Tace la piccola trincea di scrivanie,

ma smuove ore e mattini

e ingrossa un giorno improvvisa,

come onde del mare in tempesta

senza spuma

 

il sole smeriglia fiori e piante

come fosse ancora da nutrire un seme

necessario, oltre lo spreco di carta e vita

che s’ammucchia

 

oltre il limo che sale ad ogni fine estate

sboccia dai ciclamini l’impalpabile tregua,

a resistere alla polvere, all’inverno, indomita

l’anima.


 °°°


alla panchina di sole

ci siamo arresi

un giorno qualunque

come arrendersi a un dolce morire

in piena luce.

 

gli occhi chiusi nel bagliore,

raggio che traversa la mia 

e le altre accanto, simili e diverse,

per quella pace e luce riverse

su l’angolo di legno, sul ferro arrugginito.

 

Per tirar via le maschere

e il grigiore della pelle,

per un nitore del pensiero

e una forza nel cuore,

agili corde all’intemperie.

 

Anche la carezza del sole è una parola.

 

Seduti alle panchine

angoli di vita e sogni. 

Chi sente il peso del Tempo,

chi l’occhio vigile di Dio. 

 

Il vento muove la nuvola,

come Destino la inclina su ogni panchina,

come ombra di passaggio.

Forse la vedono tutti,

sagoma in chiaroscuro,

spirito che sorride in lontananza.

 

°°°


La Poesia è un vento,

si spande sulla terra e la solleva.

Mette radici passo a passo.

E tra peso e aria

fingiamo l’eternità.

 


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