martedì 19 dicembre 2017

Dante Maffia: Matera e una donna




“Matera e una donna” di Dante Maffia – Terra d’ulivi edizioni





 

Un libro è un libro, vale a dire oggetto, materialità, carta, cura editoriale. In questo ambito “Matera e una donna” di Dante Maffia, edito da “Terra d’ulivi”, possiede tutte le caratteristiche di un libro di pregio, una bella copertina, la carta lucida e pesante, la perfetta composizione editoriale, le illustrazioni fotografiche di Elio Scarciglia, bravo e sensibile nell’illustrare le pietre di Matera con amore e acume.
E poi, anzi prima di tutto, c’è il poeta, multiforme, sanguigno, dalla inarrestabile ispirazione, poeta di passioni e amore, poeta del sud, ricco, sorprendente, visionario:
Una sera/ a Matera/ vidi la luna/ entrare nei Sassi// Poi lentamente/uscire e ritornare in cielo. (pag17)
…/Mani immense s’allargano/ sul cuore/e da ogni albero/ dei viali di Matera/cola miele/che ha il tuo profumo.//… (pag 69)
A volte si discorre se sia migliore poesia quella che nasce spontanea dalle onde emozionali del cuore, o se sia preferibile la poesia costruita con lo studio e l’applicazione di tecniche espressive adeguate, se insomma la ricercatezza del verso sia un orpello o la sostanza stessa del componimento poetico.
A leggere “Matera e una donna” di Dante Maffia il dilemma trova una destabilizzante soluzione, perché Dante, dopo avere studiato e letto tutta la vita, dopo avere acquisito tecnica poetica finissima e composto centinaia di migliaia di versi (cito solo: “Io, poema totale della dissolvenza” e “Il poeta e la farfalla” che avrebbero esaurito già da soli la vena del più prolifico dei poeti),  ritorna con questo nuovo libro in cui  sceglie di gettare alle ortiche il ricco mantello delle sofisticazioni stilistiche per parlare il libero linguaggio del cuore, risultato emblematico di un percorso di distillazione del verso la cui stazione finale è la nudità del cuore, la confessione della sua umanità, il riconoscimento della sua imperfezione; nudità del cuore semplice e ardita ad un tempo, che diventa punto d’arrivo del suo viaggio attraverso la poesia, stupore davanti alla città di Matera, alla suggestione totalizzante dei suoi sassi, alla magia di una donna che informa di sé il paesaggio e lo rende vibrante di sotterranee passioni,  insofferente alle mediazioni letterarie, agli scrigni formali, alle prigioni stilistiche.
Adesso so/perché da quando ero ragazzo/leggevo come un forsennato:/cercavo te. / Le azioni/ hanno una ragione occulta// Nessuno m’avvisava ch’eri vicina,/ che bastava allungare la mano,/ restare semplice,/ con lo sguardo pulito/ e ti avrei trovato/ sulle onde del nostro mare// Adesso so che studiare/ è andare alla ricerca/ del senso di vivere/ Niente è casuale: Miglionico,/ Matera, Metaponto, Nova Siri/ indizi, soste, arene, approdi//… (pag 16)
Anche in altre sue opere Maffia ci aveva abituati a questa ribellione, alla sua sfida noncurante e silenziosa contro l’accademismo, l’oscurità elitaria, nello sforzo costante di ricucire la poesia alla vita. Forte del fatto che tutti gli accademismi ha visitato, tutte le forme espressive padroneggiato, gli autori più importanti conosciuto, il poeta è ora in grado di dire basta e tornare alla limpidezza delle origini, alla sua gente, alla donna amata, alla casa dei padri, alle strade di Matera, al linguaggio asciutto e scabro della verità, coltivando una poesia ricca di immagini e parole che diventano transustanziali, capaci di convertirsi cioè in carne, passione, peccato, se mai c’è peccato nel cercare la vita, speranza, se mai c’è speranza nell’amore.
È per questo che in “Matera e una donna” le poesie diventano, pietre, case, sassi, e che, a loro volta, i sassi, le case, le vie, diventano corpo di donna, incontri, luce che piove tra i vicoli. Questa identificazione tra la città e il corpo di una donna, riecheggia, come il titolo stesso suggerisce, la poetica di Umberto Saba: “Trieste è la città, la donna è Lina,/ per cui scrissi il mio libro di più ardita/ sincerità; né dalla sua fu fin ad oggi mai l'anima partita.” Ma le assonanze finiscono qui perché poi ci si accorge che le atmosfere evocate dai due poeti sono agli antipodi: per quanto sorvegliato, diafano, essenziale è il verso di Saba, così ardito, spavaldo, carnale è quello di Maffia; per quanto ordinata, bianca di vento, asburgica è la città di Trieste, così accatastata, dissestata, aspra è Matera, che ha luce e mistero di donna e che, come dice Luigi Reina nella sua elegante e acuta prefazione, “pretende amore, adesione totale, ascolto e abbracci, comprensione e tenerezza”
In conclusione questa operazione poetica di Dante Maffia mi convince e mi affascina, corrispondendo anche a un mio modo di sentire e vedere la poesia, che valuta con diffidenza il verso che celebra se stesso, crea barriere, inventa potere, per difendere il quale costruisce poi muri difensivi e traccia perimetri elitari dentro cui la poesia stessa, staccata dalla vita, inaridisce e non dice più nulla, anche se lo dice bene.
Le cose intorno/ stavano invecchiando/ senza una spiegazione/ i vocaboli stavano avvizzendo.// All’improvviso la freccia dei tuoi occhi/ che mi trapassa e poi mi fa risorgere.// Era una sera un poco strana, confusa,/ troppi versi detti in piazza/ in un paese di cui ho perso il nome.
È dunque solo l’amore che può salvare la poesia. Solo l’amore. 
Renato Fiorito

Roma, 18/12/2017

15 commenti:

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    Rosanna Giovinazzo, Cinquefrondi

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