giovedì 16 ottobre 2025

Maria Teresa Coppola

 

Maria Teresa Coppola - Ragionare d'amore



Maria Teresa Coppola è di origine salentina ma vive e lavora a Pisa.  La poesia le è familiare sin da piccola, grazie a poeti e artisti che frequentano la sua casa, come Girolamo Comi, fondatore dell’Accademia Salentina, Alfonso Gatto, Diego Valeri, Arturo Onofri, Oreste Macrì, Vincenzo Ciardo e, più tardi, il poeta e critico d’arte Raffaele Carrieri.

Esordisce nel 2023 con la raccolta poetica Sottovoce - Edizioni Helicon, con cui vince il Premio speciale della giuria al Premio Casentino 2023, per la raffinatezza e i toni delicati dei versi. Nello stesso anno pubblica la silloge  C'è di più (Aletti editore), dove si dimostra capace di vibrante e limpida poesia in un colloquio serrato con l’amato, che lentamente però sembra trasformarsi in un colloquio intimo tra un "Io" consapevole e razionale e un "Es" più oscuro e misterioso. Con questo secondo libro Maria Teresa si classifica seconda al Premio Caravaggio. Nel 2025, pubblicato da Helicon, esce Cielo abbastanza, in cui esprime la sua natura poetica all'interno di un rapporto conflittuale tra memoria, coscienza e sentimento.  Infine nel 2025 pubblica con Puntoacapo questo Ragioniamo d'amore, del quale si parlerà in questa nota.



Ragionare d’amore - Puntoacapo 2025

 

“Ragionare d’amore” è una raccolta di poesie che Maria Teresa Coppola ha costruito con amore e sapienza letteraria, rivelandosi poetessa di spessore e grande profondità. La bella prefazione di Ivano Mugnaini ne coglie i punti essenziali, essendo, a differenza di altre, non un inutile orpello che si può saltare senza danno, ma una guida utile ad apprezzare i molteplici significati delle “stanze” in cui è suddiviso il libro. Ma detta suddivisione è un assemblamento tematico niente affatto rigido, poiché tutte le poesie dialogano tra loro in forma libera ma unitaria, richiamandosi l’un l’altra in una struttura atemporale, contrassegnata, più che dagli eventi, dai pensieri e dalle nostalgie, dalle aspettative e dalle paure, in un dualismo di opposti che sono, insieme, pacificazione e inquietudine, speranza e sofferenza.

Nella poesia d’esordio l’autrice scrive che cento mani vorrebbe, e cento occhi, e cento versi, tutto per amore, per cantare lui mentre si muta in ricordo, ed è questo che si ritrova effettivamente nel libro: le cento mani dell’amore, i cento occhi della conoscenza, i cento versi della poesia, e il rimpianto, la malinconia e il ricordo per qualcuno che si  allontana o qualcosa che si perde. Suggestioni, flash, versi su cui tornare e poi ritornare per coglierne il non detto, sentirne il sapore ambiguo e contraddittorio, scoprire l’odore di stanze, di pelle e di allegria marina, per usare le parole di un suo verso.

Nella bellissima IV stanza dedicata agli alberi, ai fiori e alle altre creature, si ritrova l’amore per il creato, che è identificazione, canto, stupore. Per prima cosa gli alberi, nella loro armonica connessione con gli altri elementi della natura, per la pioggia che assorbono, restituendola come linfa vitale risalente fino alle foglie, per il calore del sole che trasformano in promesse di verde che risanano la terra in un’unica connessione cosmica.

Per esprimere tutto questo Maria Teresa evoca dalla mitologia egizia i nomi di Tefnut, dea dell’equilibrio cosmico, umida e feconda, e di Sekmet, forza femminile primordiale, ambivalente e misteriosa, che può infliggere e curare, signora della guerra e della distruzione, ma anche della guarigione e della medicina; dalla mitologia greca, Persefone, divinità anch’essa dalla doppia vita, dea degli inferi e, insieme,  della primavera, in un’ambiguità ossimorica che si ripresenta poi in tutta la raccolta, e il kakemono, dalla tradizione giapponese, come un cielo appeso alla parete a ispirare calma e riflessione.

E poi il mare, immaginato come fiore d’acqua, e i verdi prati da “ritessere con lenzuola di parole” (pag.86), e ancora il cielo, celebrato nelle sue stelle più luminose, Arturo, Sirio, Vega e nelle sue costellazioni, Cassiopea, che risplendono nonostante il buio portato da Erebo, figlio del Caos e fratello della Notte, come spazio oscuro tra la Terra e l’Inferno, affinché la luce delle stelle allontani la paura, prima che arrivi il sonno portato da Hypnos. (pag.89)

Poesia matura, dunque, con versi densi e ricchi di rimandi, allusioni mistiche e mitologiche, efficaci e insieme eccessivi, come deve essere l’amore e la passione erotizzante. 

La ricerca stilistica e la ricchezza di metafore rendono impegnativa la lettura, a volte a detrimento dell’immediatezza, poiché parlare d’amore è difficile senza diventare banali, specie quando si ama davvero e ci si sente vivi, anzi, traboccanti d’amore, ma parlarne con distacco è cosa triste e sostanzialmente impossibile.

Questa stretta via Maria Teresa Coppola la percorre con agile intelligenza e naturalezza, affilando il taglio della passione in una vasta cultura e nell’innata vocazione alla poesia che la rende capace di affascinare e sorprendere il lettore attento, grazie a un cuore inquieto, sempre alla ricerca della perfezione del canto, e la bellezza del verso: “C’è un posto dentro me…/dove mancano girasoli a indicarmi come tradurre la luce i sillabe tollerabili”

Nella terza stanza si parla invece dell’autunno, delle sue malinconie e le sue ombre e delle cento piccole cose, testimoni di abbandoni e invincibili solitudini, e, per contrasto, dei tanti “io” che la abitano e le danno coscienza di essere finalmente meno fragile, senza più paura di rompersi.

Ma il cuore della raccolta è nella seconda stanza, che lascio per ultima, perché in essa si parla direttamente di quell’amore che il titolo promette. Un amore carnale e, insieme, spirituale, con echi religiosi e mistici. Non a caso in un verso fondamentale viene richiamato il canto d’amore per eccellenza, quello antichissimo delle sacre scritture, il “Cantico dei cantici” dove si legge: “Il mio amato è per me e io per lui, egli pascola il gregge tra i gigli.” (pag. 26), col suo carico di bellezza che informa tutta la sezione, dove trionfa l’amore fisico e quello allegorico con la ricchezza immaginifica della grande poesia “…coglimi all’alba /prima che Hermes si svegli. / Non fermarti ai pistilli,/ inventa mani tenere ai petali/e dolci di marmellata” (pag.28) e un eros, addolcito e nobilitato dalla delicatezza di vesi ricchidi metafore: “…Il drago che abbruna in un giorno  /il bianco dei fiori grandi/ che puoi nuotarci dentro/ nella coppa di neve e cedro/ vertigine e nausea,/ ritmo fermo di ossigeno esausto, / che sfoglia l’uovo miracoloso,/ apparso appena ieri./ Sì poche ore Eros ci assiste.” (pag32). E in maniera più diretta e carnale: “Diventare per una volta, / noi/ sconfiggere la paura/ guarire la ferita/ sapere che la mia voce/ è la tua/ quando dice “ti amo”/ e incalza / “Non ti sento,/ amami più forte” (pag.33)

Insomma un libro da scoprire e che vale la pena leggere e conservare, per riassaporarlo poi più volte, in cui i versi sono collocati in un tempo “altro” dove i contorni sfumano nel sogno, nella nostalgia e nel disincanto di ciò che è andato perduto e nella aspettativa di ciò che potrà venire.

 

Renato Fiorito

 

Roma, 14 ottobre 2025




Poesie 


Cento mani vorrei 

per scalare la luce

il tuo corpo buio, 

slacciarti le scarpe

ed appenderle

al ramo più alto

dell’araucaria che buca,

riaprire la finestra

sul tuo volto,

i lembi riaccostare

del dialogo interrotto,

cucire il tempo strappato

che d’ora in ora ci allontana

in un istante

del respiro infinito.

Cento occhi vorrei

per guadarti oltre,

cristallino e incrollabile cuore,

statico-estatico furore

di leggerti tutto di nuovo,

come lavato di pioggia,

immobile fissarti

come lupo a preda

in conversazione di morte,

assolverti di rispetto

e volgerti le spalle.

Cento versi vorrei

In cui restare distesa

Insieme al tuo dolore,

catturare

l’eccedenza interna che resiste

al tuo muto mutarti in ricordo.

 

***

 

“Il mio amato è per me e io per lui”

E il mio amore è per sempre,

basta per due

anche quando non mi basto.

Non aver paura,

non aver mai paura di me.

So amarti anche da sola, anche

nei giorni che non mi puoi parlare

se non sai

a chi parlare d’amore.

La feluca o il brigantino

armerò nei pensieri  

per seguirlo.

“Egli pascola il gregge tra i gigli”

e io serbo per lui frutti

di mandragore profumate

e resto sigillo sul tuo braccio.

 

***

 

Non piangono gli alberi.

Quasi spogli ringraziano

L’umida cantilena

Della dea della pioggia,

i cori delle gocce,

premura di linfa delle radici

sacre di silenzi e presagi.

Risveglia Tefnut

archeologici strati

dove conserva intatto

il calore buono del sole,

dimentica il respiro di fuoco

di Sekmet

e culla promesse di verde,

risana gallerie di lombrichi.

Aprendo gli occhi

sugli occhi lavati del mattino,

ritorna lieve la nostalgia

di lacrime che più

non mi soccorrono.




 

 

 

 

 

 

 

 



mercoledì 8 ottobre 2025

Umberto Piersanti

Umberto Piersanti - L’isola tra le selve – Poesie scelte 1967/2024 - (Marcos y Marcos 2025)

 


Umberto Piersanti è tra i maggiori poeti della letteratura italiana contemporanea. Ha insegnato Sociologia della letteratura all’Università di Urbino ed è presidente del Centro mondiale della poesia Giacomo Leopardi. 
Poeta, narratore e saggista, è autore di 19 raccolte poetiche, 6 romanzi, saggi e opere di critica letteraria, Nel 1967 ha esordito con la silloge La breve stagione. Tra le successive raccolte segnaliamo:  I luoghi persi, Nel tempo che precede, L’albero delle nebbie, Campi d’ostinato amore con cui nel 2020 ha vinto il Premio Saba, Altri premi rilevanti sono stati il  Camaiore (1982), il Premio Nazionale Letterario Pisa (1994), il Frascati Poesia (2003), il Premio Pascoli (2008), il Premio Umberto Saba (2021). il Premio Alfonso Gatto, il Premio Penne, il San Pellegrino e il Mario Luzi.

 


Acquistabile  in libreria o on-line, 

L'isola tra le selve - Umberto Piersanti - Libro - Marcos y Marcos - Le ali | IBS


Vi sono poeti che sembrano tali sin dal loro apparire, per il solo aspetto esteriore, e Umberto Piersanti è uno di questi. Se guardo la sua foto, vedo il sorriso mansueto, la nobile barba bianca, la sciarpa colorata, il candido cappello a falde larghe e un guizzo ironico nello sguardo che istintivamente mi fanno pensare che questo è un poeta. 

La conferma arriva poi dalla lettura di questa sua silloge, L’Isola tra le selve, che subito mi coinvolge. Per prima cosa l'emozione. È così raro trovare la semplicità di un’emozione nella gran parte delle poesie d’oggi; l'impegno letterario si, la ricerca linguistica e lo studio pure, ma quasi mai il fremito di una vera emozione. La sua invece è una poesia commovente poiché parla, con veridicità e naturalezza, della vita di tutti i giorni, dei suoi fragili sogni, e del tempo che passa sopra di loro e li sbiadisce. Ci dice della giovinezza perduta, delle prime passioni, dell’amore per la terra natia e per la gente che la abita, che è poi la terra delle Cesane, che è anche la nostra terra, l’Itaca a cui vorremmo tornare:

“Itaca è là/ così vera/ e presente, /fatta di terra/ e acque e foglie/ l’hai intravista/ e persa mille volte,/ un’isola nel mezzo/ di fitte selve,/ forse impossibili/ da solcare.” (pag. 227)

La prima poesia del libro è un frammento lirico che potrebbe essere assunto come manifesto illustrativo dell’intera raccolta, uno squarcio sintetico su quanto poi si leggerà:

“Ricordi la casa perduta tra i greppi/ il sapore del fieno/ e l’immensa famiglia contadina? Il primo bacio stupito al Cappuccini/ e Dio e la morte a sedici anni?”

Queste poesie, scritte nel corso di un sessantennio, quasi un’intera vita, raccontano la storia dell’uomo, il suo percorso poetico, disinteressato alle mode e alle vecchie avanguardie, ormai esaurite, e alle nuove, che pure, in gran parte, si esauriranno presto, per ritrovare la bellezza del verso classico, la limpidezza delle immagini, la comprensibilità dei sentimenti. 

In proposito, nella sua prefazione, il filologo e critico letterario Massimo Raffaeli giustamente osserva che la poesia di Umberto Piersanti è “segnata da una perfetta alterità rispetto al decorso dei poeti della sua generazione formati nell’età di un acceso sperimentalismo e, presto, colpiti dall’interdetto alla poesia dove si è conclusa la parabola della neoavanguardia.”. 

Egli si muove lungo una direttrice neo-classica che, come scrive il prefattore, va da Pascoli (l’amore per la famiglia) a Leopardi (l’apertura stupita e dolorosa all’universo), da Carducci (la purezza delle immagini) a Ungaretti (l’asciuttezza del verso) fino a Pavese (l’attaccamento alla propria terra) e Neruda (per la ricchezza sfarzosa delle metafore) nella quale, via via, questi influenzano a turno, o tutti insieme, la stesura dei versi.

Le liriche, raccolte in 11 capitoli, scandiscono i tempi di un viaggio letterario che ripercorre in maniera suggestiva e onirica i luoghi dell’infanzia, i ricordi legati alla guerra, alla terra delle Cesane, all’amore per la natura e la famiglia, a partire dalla madre, evocata con amore e nostalgia, come nella poesia “Solo un anno è passato”:

…ci fu un tempo felice nella casa/ col padre e le sorelle, tu ci guidi, / ma la vita e la morte ci disperse/ rimanesti con me ad aspettarmi/ ti ringrazio madre per quei giorni. (pag.120),  

e per il figlio Jacopo, sofferente di una grave forma di autismo, verso il quale il poeta esprime un pudico ma struggente dolore per la sua condizione straniante: 

io e te forestieri/ in questa sala,/ e tu straniero/ anche dentro il mondo. (pag.155),

insieme allo spaesamento del cuore di fronte all’incerto futuro:

…ma il cavaliere conosce/ la sua meta? / sa dove conduce/ la bianca strada? la meta, quella/ neppure la sospetto, / ma le colline si, / sono le mie…  (pag.186)

In Umberto Piersanti il verso appare dunque melodico, narrativo, aderente alle vicende concrete, seppure traslate in un tempo mitico e sognante in cui ogni dettaglio si trasforma in emozione, diventando la porta attraverso la quale è possibile accedere a una diversa realtà, sospesa tra simbolismo e metafisica. La scansione ritmico-musicale e la sincerità dei versi li salvaguarda dal rischio di malinconie e rimpianti di maniera, diventando la porta attraverso cui è possibile accedere a una diversa realtà, sospesa tra simbolismo e metafisica. La sua poetica, infatti, pur legata alla terra e alle radici, non è mai localistica e chiusa in se stessa ma allude sempre ad altro e si fa strumento per orientarsi nel mondo e capirne le dinamiche esistenziali.

In conclusione, questa bella e ampia antologia, che raccoglie poesie provenienti da precedenti raccolte, aggiungendone altre, conferma in Piersanti un letterato necessario in tempi così cinici e feroci, ponendosi egli come mite ma solida barriera alla catastrofe spirituale, consentendo a noi di meglio affrontare i marosi e uscire confortati e arricchiti dalla sua lettura.

Renato Fiorito

Roma, 10 ottobre 2025

 

 

Poesie tratte da “L’isola tra le selve”

 

L’osteria del mare

 

Quell’osteria, madre,
in quale vicolo persa,
laggiù, sul mare?
Madre, giovane madre,
fu la nostra vacanza,
la sola forse,
allora non usava,
e quei fischioni rossi
con foglie verdi [1]
mai ne ho trovati altri
così perfetti
e l’azzurro d’intorno
ci cerchiava,
ci ubriacava di luce
sulla panca
 
sono sceso alla costa
l’ho cercata,
ma il tempo muta
e le strade e le case,
cambia perfino l’aria
 
era l’aria allora
così diversa
io la solcavo
stretto alla tua mano,
la tua veste leggera che risplende
contro l’Ardizio[2]
verde come il fosso
dove fatica la gente
del mio sangue
 
io quei giorni
me li porto dentro,
il cammino mi fanno
più leggero.
 
(Ottobre 1992)

  

Il bosco di castagni

 

 Il bosco di castagni
lontano, il più lontano,
oltre ogni greppo
oltre ogni fosso
e valle,
sotto remoti monti.
E la stagione?
Il tempo?
no, non ricordo,
solo c’era l’asiatica
e non s’andava a scuola,
potevi camminare
il giorno intero.
E i compagni?
di loro più
non so il viso
e l’andatura,
uno era alto,
l’altro tozzo e forte
e giungemmo tardi alla radura
che tra i castagni splende
e li rischiara
 
s’aprivano i sentieri
tutt’attorno,
e se ne prendi uno
quello è la sorte
e accompagna i tuoi giorni
e le vicende,
solo era difficile
staccarsi,
avevamo fatto
tanta strada insieme,
nella radura poi
si stava bene,
l’erba soffice e alta
ti ci puoi sdraiare,
sui rami canta
il verdone e i fringuelli,
fino a un’ora tarda
restammo lì distesi
 
ma prima che fa buio
bisogna andare,
ognuno prende da solo
la sua strada.

 

(Febbraio 2020)

  

Il capriolo

 

Il capriolo piccolo
s’è perso,
gemono rami e erbe
al suo gran pianto,
forse lo trova il lupo,
forse la madre.
 

 


[1]I fischioni sono uccelli acquatici (anatre selvatiche), con il petto rossastro e le ali con riflessi verdi. Il verso è dunque un lampo cromatico, un’immagine sensoriale e pittorica, tipica di Piersanti:

 

[2] ’Ardizio è un promontorio costiero che si trova sul litorale adriatico tra Pesaro e Fano,

 


 

 Poesie tratte da “L’isola tra le selve”

 

L’osteria del mare

 

Quell’osteria, madre,

in quale vicolo persa,

laggiù, sul mare?

Madre, giovane madre,

fu la nostra vacanza,

la sola forse,

allora non usava,

e quei fischioni rossi

con foglie verdi [1]

mai ne ho trovati altri

così perfetti

e l’azzurro d’intorno

ci cerchiava,

ci ubriacava di luce

sulla panca

 

sono sceso alla costa

l’ho cercata,

ma il tempo muta

e le strade e le case,

cambia perfino l’aria

 

era l’aria allora

così diversa

io la solcavo

stretto alla tua mano,

la tua veste leggera che risplende

contro l’Ardizio[2]

verde come il fosso

dove fatica la gente

del mio sangue

 

io quei giorni

me li porto dentro,

il cammino mi fanno

più leggero.

 Ottobre 1992

 

 

Il bosco di castagni

 

Il bosco di castagni
lontano, il più lontano,
oltre ogni greppo
oltre ogni fosso
e valle,
sotto remoti monti.
E la stagione?
Il tempo?
no, non ricordo,
solo c’era l’asiatica
e non s’andava a scuola,
potevi camminare
il giorno intero.
E i compagni?
di loro più
non so il viso
e l’andatura,
uno era alto,
l’altro tozzo e forte
e giungemmo tardi alla radura
che tra i castagni splende
e li rischiara

 

s’aprivano i sentieri
tutt’attorno,
e se ne prendi uno
quello è la sorte
e accompagna i tuoi giorni
e le vicende,
solo era difficile
staccarsi,
avevamo fatto
tanta strada insieme,
nella radura poi
si stava bene,
l’erba soffice e alta
ti ci puoi sdraiare,
sui rami canta
il verdone e i fringuelli,
fino a un’ora tarda
restammo lì distesi

 

ma prima che fa buio
bisogna andare,
ognuno prende da solo
la sua strada.

Febbraio 2020


Il capriolo

 

Il capriolo piccolo

s’è perso,

gemono rami e erbe

al suo gran pianto,

forse lo trova il lupo,

forse la madre.

 

 

 

 



[1]I fischioni sono uccelli acquatici (anatre selvatiche), con il petto rossastro e le ali con riflessi verdi. Il verso è dunque un lampo cromatico, un’immagine sensoriale e pittorica, tipica di Piersanti:

 [2] ’Ardizio è un promontorio costiero che si trova sul litorale adriatico tra Pesaro e Fano,


domenica 21 settembre 2025

Monica Martinelli



Monica Martinelli






 


Timing Time - Gradiva Productions 2025


Commento di Renato Fiorito 

Una silloge di poesie vecchie e nuove, alcune inedite, scritte in un lungo lasso di tempo tra il 2018 e il 2024 e suddivise in due sezioni: la prima dedicata alla necessità di crearsi un tempo più lento, un tempo da trattenere per comprenderne meglio il senso (“Timing time” che dà il titolo al libro); e la seconda in ricordo della madre; le altre sono tratte da precedenti raccolte: “Poesie ed ombre” del 2009, “Alterni presagi” del 2011, “L’abitudine degli occhi” del 2015.

La bella prefazione di Plinio Perilli ci dice che il tempo di cui si parla nel libro è più immaginifico, interiore, che cronometrico e che tra filosofia e poesia è quest’ultima a intuirne il significato profondo. Il tempo che non passa, che tratteniamo nel cuore, è quello in bilico tra passato e futuro, che rende immanente il tempo soggettivo e segna stabilmente le nostre vite, i ricordi, le speranze. Tra Eraclito (panta rei) e Parmenide (tutto è sempre presente) Monica sembra privilegiare il secondo.

Nella poesia iniziale, che dà nome alla raccolta, Monica scrive: “…il tempo cresce insieme a te, ti aspetta e ha pazienza…trattienilo più che puoi il tempo” Ecco dunque disegnato in versi essenziali l'idea di un tempo che ci cammina accanto e che è nostro alleato, non nemico. 

Le poesie hanno un respiro armonico e ampio, mantenendo in costante dialogo, come sempre dovrebbe accadere, la soggettività del singolo e l’immensità della natura che lo trascende: “…distese di terra e sogni/ stessi confini delimitati dal mare…” e, in altra parte: “Il sole è solo una lampada/ con la sua luce che sfuma/ troppo in fretta/ ma sa che non è vera la morte…”

La seconda sezione è nostalgia della madre, del passato che solo dà senso e dolore al presente: “Prendersi per mano e proteggersi dal mondo/ unire due paure e due destini…questo mi è mancato”; e in altra: “quando i ricordi si sgranano/ si sgretola il passato in macerie di memoria/ in sassi antichi dove riposa/ l’urna del tempo”. E' infine sinero e toccante il pensiero della morte: “Per accettare la realtà ci vuole coraggio/ e tu ne hai avuta prima di lasciarmi?...// Non esiste morte giusta…”

L’ultima parte del libro è composta da una selezione di poesie tratte dalla raccolta “L’abitudine degli occhi”, che si ha l’opportunità di rileggere, oppure di conoscerne per la prima volta qualche stralcio, se non si è ancora letto il libro.

La raccolta, bella sin dal titolo, in qualche modo, prefigura e annuncia le tematiche poi sviluppate in “Timing Time” della identificazione armoniosa dello spirito con la natura. Nella poesia scelta per prima infatti si può leggere:”: Sono la pioggia che disseta la terra…/ Sono il vento che scrolla pioggia dalle nuvole …/ Sono la terra bagnata dalla pioggia…/, con questa evocazione dell’acqua quale elemento duttile e vivificante, che sa adattarsi alla forma dell’anima e dei sogni da essa alimentati.

Si tratta insomma di poesie sincere, limpide, scritte con linguaggio piano e comprensibile, come succede quando si hanno cose importanti da dire e non si vuole nasconderle dietro esibite complessità letterarie. Poesie limpide come l’acqua tante volte evocata o il cielo azzurro e luminoso dei suoi tanti versi, che inducono emozioni e un senso naturale di identificazione.

La silloge è bilingue ed è edita dalla casa editrice americana “Gradiva Publications” di New York, diretta da Luigi Fontanella che, con questa pubblicazione, certifica  il passaggio di Monica Martinelli a una dimensione  internazionale.

 

Renato Fiorito. Roma 14/4/2025




giovedì 14 aprile 2022

Simone Consorti - "Voce del verbo mare"


Simone Consorti è nato nel 1973 a Roma, dove insegna al liceo. Ha esordito con “L’uomo che scrive sull’acqua ‘aiuto’”(Baldini e Castoldi 1999, Premio Euroclub 2000, Premio Linus). Ha pubblicato i romanzi “Sterile come il tuo amore” (Besa, 2008), “In fuga dalla scuola e verso il mondo”(Hacca, 2009), “A tempo di sesso”(Besa, 2012),“Da questa parte della morte”(Besa, 2015), “Otello ti presento Ofelia” (L’erudita, 2018), “La pioggia a Cracovia”(Ensemble, 2019), “Vi dichiaro marito e morte”(Ensemble, 2021).

Sue piéces “Berlino kaputt mundi” e “Sterile come il nostro amore” sono andate, con successo, in scena, rispettivamente al Teatro Agorà e al Teatro Antigone di Roma tra il marzo e il giugno del 2018. Si occupa di street photography; ha tenuto mostre personali in Italia e partecipato a collettive in Francia e Russia


 “Voce del verbo mare”  

Nota di Renato Fiorito

 

Poesia sorprendente e briosa, questa di Simone Consorti, ricca di apparenti nonsense, che però un senso ce l’hanno, e di ossimori che conciliano opposti e aprono la strada a una realtà trasfigurata. Sin dal titolo il libro, “Voce del verbo mare”, è di quelli che non lasciano tranquilli, istillando incertezze sulla posizione da tenere, se cioè fermarsi all’apparente incongruenza del dettato o provare ad andare oltre per scoprirne il diverso significato, sfuggente e affascinante insieme. Ci si chiede insomma se si tratti solo di una divertente assonanza o se ci sia un’intenzione più profonda in cui vanno a confluire concetti passibili di nuovi sviluppi, l’intenzione cioè di mettere in correlazione aspetti concettuali e lessicali distinti, per destabilizzare certezze e fare emergere in filigrana gli intrecci di una vita più ricca e complessa. 

Dice in proposito il poeta: “Dietro questa poesia ce n’è un’altra/ che tu non sei in grado di leggere/ e il cui significato non potresti reggere/ “ (pag 12)


Si sa infatti che “mare” non è un verbo; eppure se per licenza poetica lo diventasse, si potrebbe coniugarlo, unirlo a pronomi personali: io, tu, noi, loro, e goderne tutti insieme, facendolo divenire un elemento liquido di socialità e divertimento, luogo azzurro in cui pulire l’anima; allora il titolo, bello e intrigante, avrebbe già in sé ragioni sufficienti per intraprendere la lettura.

Del resto la silloge è ricca di rimandi di questo tipo, di sollecitazioni a cogliere il non detto, di giochi di parole e suoni. Il titolo del primo capitolo, ad esempio: “Ti ho dato appuntamento senza dirtelo”è così atipico e stralunato che rimanda a pensieri segreti, tanto intimi e fragili da non potere essere agevolmente raccontati se non ricorrendo a contraddizioni tra detto e non detto, a ricordi diafani che lascino trasparire la luminosità di un tempo che non passa. 


“Ti ho dato appuntamento senza dirtelo/ e sono qui in anticipo da tanto/ perché so che non verrai/ ma non so quando” (pag.21)

Darsi appuntamento senza dirselo è infatti come l'adolescenziale speranza che sia la realtà a piegarsi spontaneamente ai sogni, senza dover lottare per realizzarla, anche se è noto che l’attesa inerte difficilmente viene premiata:

“Ho cominciato attendendoti nel giorno del nostro primo non appuntamento Da qualche parte si deve iniziare a imbalsamare un amore” (pag.27)


Nella poetica di Consorti, quindi, almeno per quanto riguarda questo lavoro, ci si imbatte spesso in un tempo saltellante, incerto, che non risponde al tempo lineare della narrazione canonica, ma piuttosto all'anarchia degli impulsi del cuore in cui tutto sembra concluso e tutto, invece, come in Parmenide, sempre ritorna, una specie di calembour che non è gioco ma riflessione sulla vita, così come si consuma nel caos dei sentimenti:

“La tragedia dell’autunno è nell’attesa/ in quelle foglie precarie/ dall’aria sospesa/ Conosco un poeta che aspetta/ da trent’anni in qua/ il suo grande amore scomparso/ un’ora fa” (pag 32)

O anche:

“Qualcosa è Paradiso/ se puoi dargli appuntamento tra cent’anni/ senza sentirti già in ritardo” (pag.87)

Così, con la stessa apparente leggerezza, nel racconto della vita, entra a pieno titolo anche la morte che, anzi, va ad occuparvi un posto centrale: 

“Anche quest’anno/ ho passato la mia data di morte/ senza riconoscerla/ Un giorno come un altro mi è sembrato/ e non l’ho festeggiato né scansato/ cercandomi un riparo/ Niente candeline/ né di compleanno né votive/ Anche quest’anno/ nel giorno della mia morte/ sono morto un miliardo di volte (pag.18)

Oppure

In ogni bara lasciateci un buco/ per farci entrare il mondo/ oppure un bruco// In ogni bara lasciateci un buco/ per fare uscire almeno un po’ di buio// C’è tutto ciò che han veduto/ negli occhi di ognuno/ quando si chiudono// In ogni bara lasciateci un buco a forma di nuvola (pag19)

 

Il secondo capitolo della raccolta, che si intitola: “Mentre Dio faceva il suo dovere”, sembra lasciare il periodo in sospeso: mentre Dio faceva il suo dovere… cosa accadeva in realtà? L’uomo realizzava le sue atrocità oppure assecondava l’armonia del creato? Distruggeva se stesso o operava per il bene? Consorti non lo dice ma lancia un amo letterario che aggancia la curiosità del lettore. Del resto è così che deve fare un buon libro, sollecitare curiosità, trattenere il lettore con un filo invisibile che lo porti fuori dal labirinto. Una delle risposte possibili che il poeta dà (quella che forse mi piace di più) è che mentre l’uomo cerca di curare i suoi mali il dovere di Dio è restare nascosto.

“…Trovava il suo sollievo torturandosi/ sempre allo stesso modo/ sempre allo stesso ritmo/ sempre allo stesso posto/ mentre Dio faceva il suo dovere/ restare nascosto” (pag.53)

Un’altra possibile risposta è che l'umanità va avanti comunque. perpetuando guerre, morte e dolore, indipendentemente da ciò che fa Dio.

(Tre guerre fa/ i morti che sto calpestando/ in questo cimitero di guerra/ calpestavano altri morti/ che avevano calpestato altri morti/ che si erano cibati della stessa terra) pag.82

 Così, nel “mare” consortiano,  diventato verbo, si avvicendano punti di vista disarticolati, spiazzanti che continuamente destabilizzano il lettore. Allora sarebbe meglio fermarsi a riflettere e non andare veloci, cercando di raccapezzarsi di più, poiché la verità è dura e complessa, e l’equilibrio instabile. Avremo però per compagnia l’amaro sorriso del poeta, il suo malinconico sarcasmo e soprattutto un nuovo desiderio di indossare ali di carta e di parole per non restare indietro nel volo.

“…Milioni di altri uomini/ sono morti e si sono riprodotti/ perché potessi scrivere i miei versi/ le mie bestemmie e i miei motti/ Milioni/ affinché potessi amare/ una ragazza ancora più impalpabile/ di tutti i vetri e le pagine” pag. 62


Infine è da osservare che Simone Consorti, essendo uomo di teatro,  conserva nella scrittura il gusto scenico della sorpresa, la prosa spumeggiante e ironica, mai bolsa e scontata, che non ammette noia né distrazione. Perfino nella nota autobiografica finale, intitolata "C'era una volta Simone Consorti", il poeta parla di sé in maniera estremamente godibile e originale, cosa non usuale nelle autobiografie, esprimendo al meglio una personalità istrionica dal gusto tagliente e raffinato. In essa addirittura sconsiglia di qualificare il suo libro come bello, importante e di valore, poiché a suo dire, esso sarebbe la risultante di pagine che non ha buttato via. Io però vorrei disattendere la sua raccomandazione e dire che "Voce del verbo mare" mi è sembrata una raccolta poetica ricca di creatività e di vita, e che mostra la piena padronanza della tecnica poetica da parte dell'autore. Perciò, sfidando la sua ironia, dico in coscienza che il libro che ho appena letto l'ho trovato bello e di valore.



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Voce del verbo mare

 

“Il vero infinito è il passato remoto

perché per l’eternità

nessuno potrà toglierci

ciò che è terminato già”

disse lui con un tono un po’ rude

“Semmai il passato prossimo

perché è iniziato ma non si conclude”

Poi riuscirono a litigare

perfino su come coniugare

l’infinito del verbo mare

 


Siamo a questo punto dell’autunno

 

Siamo a questo punto dell’autunno

in cui le foglie le guardiamo ormai da dentro

confuse col nostro riflesso

di qua dal vetro

come se vivere fosse

guardarsi indietro

 

Domani

toccherà ad altri

riattaccarle ai rami

 

 Pioveva il giorno del tuo matrimonio

 

Pioveva il giorno del tuo matrimonio

piove in questo del tuo funerale

ma oggi le gocce si confondono

e fanno più male

In questi vent’anni abbondanti

sei riuscita a farci entrare un’adozione

un divorzio

e una litigata talmente grande

che tuo figlio adottivo

dopo ti ha messa in disparte

Sapendo anche il resto

e come ti si è portata via

quella malattia che fa rima con amore

oggi nessuno lo dice

“Morta bagnata morta fortunata”

e io neanche dico niente

Guardo in basso scansando lo sguardo

dei miei genitori e dei tuoi

evitando tutto quel che non sia io

Io che devo mandare le bozze all’editore

io che devo mendicare una recensione

io che dovrei preparare una lezione

io che voglio uscire intero da questa chiesa

 che oggi ha fatto il pienone

A ripensarci pioveva

anche il giorno della tua prima comunione

 

18/11/1978  

 

Quando ordinerai il suicidio di massa

sarò accanto a te

annuendo a testa bassa

guardando la terra dove finiremo

e non il cielo

E mi dispiacerà soltanto

per chi ci credeva davvero

 

Ha un sapore strano

il preparato

Sa di fieno e di futuro

appena falciato

Va giù in un sorso

e prima di farlo

ha già fatto il suo corso

 

In tasca non ho frasi d’addio

In testa in cuore

non ho più niente di mio

solo una manciata di istruzioni

che eseguirò come il primo dei tuoi uomini

e l’ultimo degli automi pag 69


 

Questa poesia deve essere bella  (pag.97)

 

Questa poesia deve essere bella

perché domani all’alba gliela voglio dare

prima ancora che si alzi l’abito

e si mostri nuda al mare

Prima che faccia quel che ha fatto oggi

Non le dirò il mio nuovo nome

né ripeterò la stessa

vecchia presentazione

Solo le darò questo foglietto

sperando che lo legga

come si tira su l’abito

senza fretta

prima di donarlo al mare

in forma di barchetta